storia di classe

Storia di classe
Quando ci rendemmo conto che loro [i figli, ndr] non sarebbero mai tornati, prendemmo la decisione di non abbandonare la piazza, decidemmo che avremmo lottato fino all’ultimo giorno della nostra vita e decidemmo anche che la lotta individuale non aveva nessun senso, che dovevamo prendere la decisione di socializzare la maternità per diventare le madri di tutti. (…) socializzare la maternità non è cosa facile, lo abbiamo fatto per essere le madri di tutti, non solo dei nostri 30.000 figli in Argentina, i 15.000 fucilati, i 9.000 in carcere e il milione e mezzo in esilio, ma anche delle migliaia di figli che in altri popoli sono sequestrati. Con questa globalizzazione e questo capitalismo perversi, oggi, i nuovi desaparecidos del sistema sono gli esseri umani senza lavoro, quelli che non possono dare cibo ai propri figli, sono gli uomini e le donne che non contano nulla (…) lottiamo anche per loro, e daremo la vita per questa lotta.
Hebe de Bonafini, discorso al Premio Unesco “Educación para la Paz”, 1999.

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e in diritti”. Con queste parole si apre il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani, ratificata all’Onu il 10 dicembre del 1948. Due anni più tardi, il 10 dicembre sarebbe ufficialmente divenuta la giornata mondiale dei diritti umani.


Come dimostrato da qualsiasi processo storico, per quanto nobili possano essere le intenzioni e i concetti messi avanti in una dichiarazione di intenti, essi non potranno mai diventare obbligatori e universali in assenza di un rapporto di forza e in assenza di un movimento politico e sociale di massa in grado di difenderli fino a farli prevalere.


Lo sapeva bene quel gruppo di donne di Buenos Aires che il 10 dicembre 1977 pubblicarono sul giornale i nomi dei loro figli “scomparsi”, annunciando che la Plaza de Mayo sarebbe stata il centro della loro protesta fino a quando la dittatura fascista al potere non avrebbe dato delle risposte in merito. Una di loro, Azucena Villaflor, fu prelevata per sempre dalla giunta quello stesso 10 dicembre, per non tornare mai più.
Con questa organizzazione collettiva, le sue pratiche e i suoi sacrifici, erano nate le Madri della Plaza de Mayo, delle donne che ci hanno dimostrato con la pratica che gli esseri umani non nascono né liberi né uguali, però possono lottare e organizzarsi per diventarlo.


Socializzare la maternità significa farsi carico dei problemi collettivi, dare impulsi e costruire lotte affinché dei diritti astratti diventino diritti materiali e concreti, anche il diritto di chi ad esempio non intende essere madre, ma disporre liberamente del proprio corpo e della propria dignità.
Il 13 dicembre 2020, con un voto storico, la Camera dei deputati in Argentina ha votato in favore di un progetto di legge che dovrebbe portare alla depenalizzazione dell’aborto. Fuori dal parlamento, nelle strade, migliaia di militanti per i diritti delle donne partite dalla Plaza de Mayo esultavano per questa vittoria di tappa.


La strada verso la libertà e l’uguaglianza, di classe come di genere, in Argentina come altrove, è ancora lunga. Per questo dobbiamo lottare.

Pubblicato il 

17.12.20
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