Libertà? Mi facci il piacere

Libertà, libertà… di fumare, di non fumare: tirata in ballo da tutte le parti, lasciamo che questa parola venga riferita a lotte ben più importanti. Non ridotta ad uno strofinaccio multiuso. Come sta accadendo per uno dei due oggetti in votazione in Ticino il prossimo 12 marzo, il referendum sul divieto di fumo negli esercizi pubblici. Perché non parliamo invece di buon senso o di rispetto reciproco? O se volete di salute pubblica? È vero, la cosiddetta Legge antifumo creerà delle limitazioni: i fumatori si ritroveranno a dover fumare all’esterno di quei locali pubblici che non dispongono di appositi locali per fumatori e debitamente aerati. Ma non ci sembra che questa rinuncia sia paragonabile ad una grave privazione di libertà. Potranno continuare a farlo, solo non più negli spazi condivisi dal pubblico. Nessuno entrerà nelle loro case a proibirglielo. Potranno scegliere se frequentare o meno quegli esercizi che non dispongono di locali per fumatori. E per favore, a sostegno delle proprie tesi non si tirino in ballo questioni del tipo: di questo passo si arriverà a proibire alcuni alimenti perché nuocciono alla salute o pratiche sportive pericolose. Questa massimizzazione è davvero eccessiva. Va da sé che se tu mangi qualcosa che a me fa male, non ne ho un danno giacché non condividiamo lo stesso apparato digerente; o se tu pratichi uno sport pericoloso non arrischi la mia vita visto che il tuo corpo non è in osmosi col mio. L’aria invece sì, quella la condividiamo. Soprattutto al chiuso di un esercizio pubblico. E in tutto questo tirare in ballo la libertà di scelta, c’è forse qualcuno che si preoccupa della non scelta a cui sono costretti tutti i dipendenti che lavorano negli esercizi pubblici, che la cortina fumogena se la devono sorbire senza poter fiatare? Eppoi, come si può gustare una sigaretta in santa pace con intorno a sé sguardi infastiditi, arrabbiati, persone che sbuffano o – peggio ancora – bambini? Gli avversari della Legge ritengono che così si discriminano i fumatori, li si criminalizza. Per dirla con Totò: «ma mi facci il piacere!». In Italia, dove il fumo è stato abolito da un anno, i fumatori che vanno in ristorante si ritrovano fuori dal locale a consumare la loro dose di tabacco e così facendo assolvono ad un rituale che li porta a scambiare le classiche “due parole” con gli altri commensali fumatori dello stesso locale. Altro che ghettizzazione: questa Legge antifumo spinge a socializzare. Fosse anche per condividere con un pizzico d’ironia ciò che per taluni è considerato un vizio, per altri un puro piacere. Parola di fumatrice.

Pubblicato il

24.02.2006 00:30
Maria Pirisi
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