Lidl, le ombre di un impero

Il sindacato tedesco del terziario ver.di (“Vereinte Dienstleistungsgewerkschaft”) aveva annunciato da tempo un’iniziativa contro i discount accusati di fare carta straccia dei diritti dei lavoratori. La promessa è stata mantenuta. Sotto l’albero di Natale i tedeschi hanno trovato un libretto dalla copertina nera e dal contenuto estremamente interessante. Lo “Schwarzbuch Lidl”, questo il titolo del lavoro dei giornalisti Andreas Hamann e Gudrun Giese, riassume nelle sue 103 pagine lo sfruttamento cui il gruppo Lidl sottopone i suoi dipendenti. Gruppo che sta per sbarcare in Svizzera, con un progetto pronto anche per il Ticino. Il libro nero di Hamann e Giese getta luce su un mondo fatto di ricatti ed intimidazioni, di salari sotto il minimo garantito, di straordinari obbligatori ma nel più dei casi non retribuiti e di mille altre piccole e grandi angherie quotidiane con cui l’azienda tiene in pugno oltre 25 mila lavoratrici e lavoratori solo in Germania. I lettori/consumatori imparano così a conoscere il rovescio della medaglia dell’enorme successo dei supermercati Lidl. I prezzi stracciati che l’azienda offre ai suoi clienti e che, in tempi di crisi economica, attirano sempre più persone, sono, in realtà, il frutto della sistematica trasgressione delle leggi federali sulla tutela dei lavoratori. Il libro nero spiega nei dettagli la nascita e l’espansione del gruppo commerciale che fa capo al sessantacinquenne Dieter Schwarz, un personaggio avvolto da un alone di mistero sul cui conto si sa solo che dirige il suo impero con l’inflessibilità di un sovrano assoluto. A circondare Schwarz, il cui patrimonio personale lo colloca tra le cinque persone più ricche della Repubblica federale, c’è un pugno di faccendieri, tutti sulla sessantina, tutti legati a filo doppio a gruppi finanziari di grosso calibro. Da azienda familiare negli anni ’30, Lidl si è trasformato nei decenni in un colosso commerciale strutturato sul modello delle scatole cinesi e con ramificazioni in mezza Europa. Nel 2003 il suo fatturato è stato di oltre 33 miliardi di Euro. Ma che il discount si chiami Lidl o Kaufland, Kaufmarkt o Handelshof (questi i nomi delle altre catene di proprietà di Dieter Schwarz) o che si trovi in Germania, Francia o in Polonia la “filosofia aziendale” è sempre la stessa: disciplina ferrea, nessun diritto di parola e di organizzazione per i dipendenti, mobbing e rifiuto di ogni tipo di contatto con i media. Come i due autori sottolineano nella loro ricerca, Lidl recluta la propria forza lavoro tra le categorie più deboli e, quindi, facilmente ricattabili. Madri di famiglia, stranieri e lavoratori non specializzati popolano in maggioranza le filiali di Lidl. Sul loro disperato bisogno di un lavoro l’azienda specula con cinismo senza pari. Il fatto che nei discount di Lidl non esista praticamente alcuna forma di organizzazione sindacale è la conferma più evidente di quanto la politica di intimidazione abbia successo nell’impero del signor Schwarz. Nelle testimonianze di decine di lavoratori ed ex lavoratori di Lidl il libro nero riserva poi la sua parte più esplosiva. Si tratta, quasi sempre, di racconti anonimi: tra le tante regole che i dipendenti dei discount devono sottoscrivere, ve ne è anche una che vieta, nel modo più assoluto, di rilasciare interviste sul proprio lavoro. Quella delle commesse che devono battere almeno 40 articoli al minuto, pena la perdita del lavoro, oppure quella degli addetti allo stoccaggio dei generi alimentari che non hanno nemmeno il tempo per andare in bagno o lavarsi le mani o, ancora, quella del direttore di filiale licenziato perché solidale con i suoi dipendenti sono tutte storie di cui faremmo meglio a ricordarci la prossima volta che stiamo per varcare la soglia di un discount Lidl. Fai gli straordinari? No, “lavoro volontario” 54 anni, berlinese, Andreas Hamann è, insieme a Gudrun Giese, autore di “Shwarzbuch Lidl”, il libro nero sul colosso dei discount edito di recente da ver.di, il sindacato tedesco del terziario. Hamann, che in passato ha pubblicato saggi di tema politico ed economico e collabora abitualmente con quotidiani e riviste in veste di esperto sindacale, è arrivato ad occuparsi di Lidl in modo del tutto fortuito. «Quando un paio d’anni fa – racconta Hamann – hanno aperto una filiale di Lidl proprio sotto casa mia, andando lì a fare la spesa ho potuto vedere con i miei occhi come i dipendenti del supermercato fossero oberati di lavoro. Sembravano più stressati e frenetici che dalle altre parti, costretti come erano a fare in pochi il lavoro di molti. Così ho deciso di iniziare a indagare sulle condizioni di lavoro nelle filiali di Lidl.» Quanto tempo è durata la vostra ricerca e quante filiali del gruppo avete preso in considerazione? La mia collega Gudrun Giese ed io abbiamo studiato il fenomeno Lidl per quasi due anni. Prima abbiamo pubblicato una serie di articoli su aspetti particolari del problema, in seguito ver.di ci ha incaricato di fare uno studio sistematico sui diritti dei lavoratori nei discount del gruppo in vista della pubblicazione del libro nero. Nel corso della ricerca abbiamo parlato con un centinaio tra dipendenti ed ex dipendenti dell’azienda che, dietro l’assicurazione dell’anonimato, ci hanno raccontato le loro vicende personali. Abbiamo visitato direttamente o preso contatto con i lavoratori di 250 filiali di Lidl sparse su tutto il territorio federale. Si tratta di un buon campione statistico, qualcosa come il 10 per cento dei 2 mila 500 discount Lidl presenti in Germania. E sempre, qualunque fosse l’incarico specifico dei lavoratori intervistati o la loro regione di provenienza, abbiamo sentito le stesse storie di sfruttamento. Ci faccia qualche esempio. Dalle commesse che non possono andare in bagno perché in negozio non c’è nessuno che possa sostituirle, agli straordinari regolarmente non pagati e definiti cinicamente “lavoro volontario”, alle tante accuse infondate di furto a carico di chi non si piega alle regole aziendali, l’elenco delle angherie è lungo e variegato. Ma anche lasciando da parte le tristi vicende personali di tanti dipendenti di Lidl, un dato, da solo, basta a inquadrare la “filosofia” dell’azienda: su 2 mila 500 filiali di Lidl in Germania solo in sette di esse esiste una commissione interna. Nel corso del vostro studio avete provato a rivolgere qualche domanda anche alla direzione di Lidl? Certo che ci abbiamo provato, ma è stato come parlare con un muro. Nessuna nostra domanda ha ricevuto una risposta adeguata. Il gruppo Lidl, del resto, è famoso per non avere un ufficio stampa degno di tale nome, e parliamo di un’impresa con oltre 6 mila filiali sparse in tutta Europa. In realtà nessuno poteva rispondere alle nostre domande perché dall’altra parte mancava un interlocutore. Da Lidl nessuno, a parte il padrone Dieter Schwarz, è autorizzato a parlare. E dopo la pubblicazione del libro nero ci sono state prese di posizione ufficiali da parte del gruppo Lidl? In realtà ci si sarebbe potuti aspettare una levata di scudi in grande stile da parte dell’azienda o, magari, una querela per diffamazione nei nostri confronti. La reazione, invece, si è limitata a una breve dichiarazione di un membro della presidenza di Lidl al telegiornale di Zdf, in cui si cercava di minimizzare quanto contenuto nel libro. Per certi versi si è trattato di un vero successo, visto che mai, in passato, l’impresa aveva rilasciato interviste. Per controbilanciare la perdita d’immagine derivata dall’uscita del nostro libro, l’azienda ha lanciato in questi giorni una vasta campagna pubblicitaria in cui si sottolinea come Lidl abbia contribuito alla creazione di migliaia di posti di lavoro. Ma anche questa è una bugia, visto che la loro politica ‘spaccaprezzi’ ha portato, se mai, al fallimento della concorrenza che tentava di giocare pulito. Avete in programma altri libri neri? Nel settore del commercio in Germania i diritti dei lavoratori sono calpestati molto più frequentemente di quanto si pensi. Lidl è un caso macroscopico di sfruttamento, ma anche in altre aziende, come Aldi, le condizioni di lavoro sono indegne di un paese civile. Proprio su Aldi intendiamo scrivere il nostro prossimo libro nero. Si apre un “varco” in Ticino Come ogni grande invasione che prevede un accurato studio delle strategie d’attacco e di penetrazione, anche la Lidl sta preparando da tempo il suo sbarco in Svizzera. Ad aprire il “varco” sul versante della vendita al dettaglio ci sarà anche Castione dove verrà aperta quella che potrebbe essere la prima filiale svizzera del colosso dell’hard discount. Un parallelepipedo di 12 mila metri cubi (70 per 30 per 6 metri di altezza). La costruzione, in mattoni con tetto intonacato, verrà eretta in via San Gottardo (vicino alla Migros). L’11 gennaio è scaduta la domanda di costruzione della filiale e, da quanto riferitoci dal sindaco del paese Renzo Bollini, non sono pervenuti ricorsi fino ad oggi. «Di per sé la costruzione, situata sul terreno a ridosso della cantonale, non dovrebbe disturbare più di tanto le esistenti casette. In accordo con il Dipartimento del territorio mi risulta siano state trovate delle soluzioni per la viabilità che dovrebbero limitare i disagi del traffico», ci dice il sindaco. Se poi Castione sarà la prima filiale non è dato saperlo. Tutto resta sul vago a livello d’informazioni dalla Lidl Schweiz. Un muro di gomma da cui le domande rimbalzano al mittente. Gentile ma impenetrabile, Lucas Rinaldi della Lidl Schweiz di Frauenfeld non vuole specificare neanche qual è il suo ruolo all’interno del gruppo commerciale svizzero. Tutto ciò che si può sapere riguardo la filiale di Castione si limita a quanto già noto del progetto, pubblicamente consultabile. «Posso dirle – dice Rinaldi ad area – che la Lidl è sul mercato in Svizzera dal 2004 ed è tuttora in cerca di terreni disponibili in cui insediarsi. Su quale sarà la prima filiale ad aprire su suolo elvetico, non posso esprimermi». Fumo anche su quante persone vi lavoreranno all’interno e a quali condizioni. «Tutto dipenderà – dice Rinaldi – dagli orari di apertura e dalla percentuale di tempo lavorativo con cui queste persone verranno assunte. Ripeto: non sono autorizzato a rilasciare dichiarazioni in merito.» Nessuna informazione viene rilasciata sui tempi di apertura della filiale di Castione. «Oltre a quella di Castione – prosegue il rappresentante della Lidl – ci sono altre domande di costruzione che attendono di essere evase. E non possiamo dire quale aprirà per prima». Intanto la Lidl Schweiz ha ottenuto il permesso di costruire a Näfels (canton Glarona), dove conta di impiantare il suo centro logistico e la sua sede amministrativa per tutta la Svizzera. Mentre a Frauenfeld (canton Turgovia), a Basilea e a Berna, il colosso del discount ha aperto già tre uffici in previsione della sua espansione. Com’è noto, la Lidl rivolge il suo mercato alle fasce di popolazione di ceto medio basso. «Il 90 per cento delle merci in vendita alla Lidl – spiega Rinaldi – riguarda il settore alimentare. Ed è lì che noi contiamo di aver successo: anche in Svizzera, come nel resto dell’Europa, venderemo prodotti, anche di marca, ma a prezzi concorrenziali rispetto a quelli proposti da altre importanti catene di supermercati esistenti. Il nostro obiettivo è offrire articoli di qualità a prezzi bassi. No, non temiamo la concorrenza: crediamo ci sia spazio per tutti.» Su come la Lidl riesca a mantenere dei prezzi “stracciati” vi è ormai un’ampia documentazione fatta di testimonianze di impiegati (di diversi paesi, fra cui Germania e Italia) che denunciano un preoccupante livello di sfruttamento, clima teso e condizioni lavorative giocate al ribasso (cfr articoli sopra). In Germania, di fronte alle denunce del sindacato Ver.di, la Lidl ha reagito parlando di campagna di diffamazione e pubblicando una pagina pubblicitaria in cui dichiara di essere il “numero uno in materia di creazione di posti di lavoro”. Resta la domanda di fondo: posti di lavoro sì, ma a quali condizioni? E se la politica espansionistica della Lidl ha la caratteristica di avere, ovunque s’insedi, le stesse note dominanti, c’è d’aspettarsi che anche in Svizzera i sindacati avranno il loro bel daffare.

Pubblicato il

14.01.2005 01:30
Maria Pirisi
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