Ibrahim Lufty è un uomo minuto. Occhi lucidi, vispi, ha la parola facile. E racconta che a quarant’anni nel suo paese – le Maldive – ha già collezionato una decina di arresti. L’ultimo nel gennaio 2002 per la sua attività di “cyberdissidente” quale redattore di Sandhaanu, un bollettino informativo in formato elettronico da lui fondato qualche mese prima assieme ad alcuni amici, tutti decisi a denunciare gli abusi del regime del presidente Maumoon Abdul Gayoom, che dal 1968 governa col pugno di ferro il paradisiaco arcipelago dell’Oceano Indiano, meta privilegiata di frotte di turisti occidentali in buona parte ignari di quanto capita oltre il recinto del loro villaggio di vacanza. «Tutti vedono le Maldive come un paradiso. I turisti ci vanno e spendono un sacco di soldi. Dall’esterno non si vedono gli abusi dei diritti umani, le ingiustizie, la corruzione», dice Ibrahim Lufty, informatico e imprenditore di successo che nell’autunno del 2003 è diventato il primo rifugiato politico delle Maldive in Svizzera, capolinea di una rocambolesca fuga nella quale hanno giocato un ruolo centrale Amnesty International e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur). Da allora, assieme ad alcuni connazionali sparsi per il mondo, Lufty lavora per informare e sensibilizzare attorno alla questione dei diritti umani nel suo paese in modo da accrescere la pressione della comunità internazionale sul presidente Gayoom. Sostiene il Partito democratico delle Maldive, l’unico partito d’opposizione, pur non facendone parte. area lo ha incontrato a Lugano, dove è stato invitato a inizio estate dalla locale sezione di Reporters sans frontières. Sandhaanu è sopravvissuto all’arresto nel 2002 dei suoi principali collaboratori. (1) Ma oltre ad esso esistono altre voci di dissenso nelle Maldive? Sì. Sandhaanu nel frattempo si è fatto conoscere in tutto il mondo. Abbiamo cominciato nell’agosto del 2001, ed è stata la prima pubblicazione dell’opposizione nella lingua locale, il divehi. Ma i fermenti della libertà di espressione nel mio paese non si limitano a Sandhaanu. Negli ultimi anni sono sorte nuove pubblicazioni, di diverso genere. E numerosissime persone hanno cominciato a scrivere: il governo non riesce a bloccare questo slancio, nonostante la censura e gli arresti arbitrari. Il regime tenta soprattutto di mettere a tacere le espressioni di dissenso che si diffondono su internet. È quanto è capitato a noi di Sandhaanu. Quando ci hanno arrestati ci hanno accusati di essere membri di al Qaeda. Le autorità ormai tendono a chiamare terroristi le persone che semplicemente esprimono il loro dissenso, la loro insoddisfazione attraverso mezzi legali. Ma non riescono a far tacere la gente. La situazione dei diritti umani nelle Maldive è critica sotto molti aspetti. Ma anche i rapporti di Amnesty International sottolineano alcuni progressi realizzati negli ultimi anni. Come stanno le cose a suo avviso? Le condizioni dei diritti umani nelle carceri del paese sono migliorate molto, oltre ogni immaginazione. Oggi non c’è quasi più tortura, anche se gli abusi continuano in alcune occasioni e in certe carceri. Dal dicembre del 2003 esiste una commissione nazionale dei diritti umani. Sì, le cose stanno migliorando. Grazie soprattutto alle pressioni della comunità internazionale, di organizzazioni come Amnesty International. Ma l’obiettivo principale delle riforme intraprese dal presidente Gayoom è prima di tutto di costruirsi una reputazione per guadagnare tempo e restare al potere. La società civile comunque sta crescendo, soprattutto nella capitale Malé. Fino a poco tempo fa la paura era grande. E la dispersione geografica delle isole dell’arcipelago ha sempre reso difficile articolare un’opposizione. La stampa, la radio e la tv sono tradizionalmente fedeli al governo, non parlano dei suoi errori. Ma le cose poco a poco cambiano. La popolazione ora osa parlare in modo più libero, difendere i propri diritti, e numerose piccole pubblicazioni scrivono cose che il governo non vorrebbe mai vedere pubblicate. La gente osa di più poiché sa che può contare sulla pressione delle organizzazioni non governative internazionali. La comunità internazionale adesso adesso guarda cosa succede all’interno del mio paese. Qual è stato il ruolo delle nuove tecnologie dell’informazione – e di internet in particolare – nello sviluppo di questi nuovi spazi di espressione nel suo paese? Importantissimo, fondamentale. Internet ci ha permesso di riunire le forze, superando l’ostacolo della dispersione delle isole dell’arcipelago. Non c’è dubbio: anche in futuro le nuove tecnologie dell’informazione potrebbero essere uno dei principali mezzi per sviluppare la libertà d’espressione nelle Maldive. Il problema è che il governo non ha mai concesso possibilità di sviluppo ad esse, anzi. (2) Quando si parla delle Maldive vengono quasi sempre denunciati gli abusi in materia di diritti civili e politici. Che ne è dei diritti sociali, economici e culturali? Ad esempio, di quelli del settore turistico? Il 40 per cento circa dei 310 mila abitanti delle Maldive vive con meno di un dollaro al giorno. I benefici del turismo sono intascati dal presidente e dal suo clan, non vengono ridistribuiti . La popolazione non beneficia di un sistema sanitario degno di questo nome, né di previdenza sociale e professionale. Tutto ciò in un contesto dove la disoccupazione tra i giovani sta crescendo in modo drammatico. Esistono inoltre enormi ingiustizie salariali. Un cameriere in un villaggio turistico, ad esempio, è pagato meno di 100 dollari al mese, un salario che non ti permette di vivere nemmeno una settimana alle Maldive, paese che è diventato carissimo, un po’ come la Svizzera in Europa. I camerieri quindi sopravvivono solo grazie alle mance lasciate dai turisti. Molti lavoratori del settore, dopo aver lasciato le loro isole per venire a lavorare nei complessi turistici, non hanno diritto a vacanze pagate. I diritti dei lavoratori non sono rispettati. E nell’amministrazione pubblica gli impiegati “scomodi” possono essere rimossi dal loro incarico senza spiegazioni. È quello che è successo a mio padre: dopo una vita nell’amministrazione pubblica è stato licenziato solo perché il figlio criticava il governo. Alle Maldive puoi fare grandi profitti solo se tieni la bocca chiusa. È ciò che è successo a me anni fa con la mia ditta. Dei funzionari mi chiamavano al telefono e mi dicevano che se la smettevo mi avrebbero dato del lavoro. 1) Nel gennaio del 2002 Ibrahim Lufty venne arrestato assieme alla sua assistente Fathimath Nisreen, Mohamed Zaki e Ahmed Ibrahim Didi, collaboratori di Sandhaanu. Accusati di “diffamazione” e di aver “tentato di rovesciare il governo”, il 7 luglio 2002 i tre uomini vennero condannati all’ergastolo; Fathimath Nisreen, che all’epoca aveva 22 anni, a 10 anni di prigione, poi ridotti a 5. La donna ha beneficiato di un’amnistia lo scorso 9 maggio. Zaki e Didi, nel frattempo, si sono visti ridurre la pena a 15 anni di prigione e dal febbraio del 2004 sono agli arresti domiciliari. Zaki è stato liberato senza condizioni lo scorso 18 agosto. Didi continua a purgare la sua pena. 2) In una nota recente, Reporters sans frontières ha denunciato le pressioni esercitate dalle autorità delle Maldive su Interpol, pressioni che hanno portato a una perquisizione da parte della polizia dello Sri Lanka nei locali del sito internet minivannews.com e della radio Minivan a Colombo. «All’origine di questa misura una denuncia senza fondamento delle autorità delle Maldive. Una parte dei giornalisti hanno lasciato il paese e la radio ha cessato le emissioni temendo nuove rappresaglie», scrive Reporters sans frontières (vedi www.rsf.org). Il lavoro, l’arresto, la condanna e la fuga Il “cyberdissidente” Ibrahim Lufty è un ingegnere informatico di 40 anni. Attivo con successo nel settore delle nuove tecnologie dell’informazione, la sua azienda era diventata una delle più grandi delle Maldive. Ma man mano che l’impegno di Lufty nel denunciare la repressione del regime di Maumoon Abdul Gayoom cresceva, gli affari – e non solo quelli: anche gli affetti, le amicizie – diminuivano. Gli arresti si moltiplicano dalla metà degli anni ’90 (in tutto ne collezionerà una decina). Rilasciato senza condizioni dopo l’ennesimo fermo, i funzionari del governo gli promettono appalti per la sua ditta in cambio del silenzio. «Hanno tentato di comprarmi», ricorda. A quel punto Lufty decide che ne ha abbastanza. Assieme ad alcuni amici nell’agosto del 2001 fonda Sandhaanu, un bollettino informativo in formato elettronico nel quale vengono denunciati gli abusi commessi da autorità e forze dell’ordine. I principali collaboratori di Sandhaanu, tra cui Lufty, sono arrestati nel gennaio del 2002. Cinque mesi dopo – al termine di un processo-lampo a porte chiuse e senza avvocato difensore – vengono condannati a pene varianti dai 10 anni all’ergastolo. Lufty patisce i maltrattamenti e le durissime condizioni di detenzione nel carcere dell’isola di Maafushi. A causa di una congiuntivite viene ricoverato a Malé e nel maggio del 2003 è trasferito nello Sri Lanka per essere operato d’urgenza. A Colombo, sfruttando le sue conoscenze e con la collaborazione di Amnesty International e dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Acnur), Lufty riesce ad eludere la sorveglianza degli agenti che lo accompagnano e a nascondersi in attesa del lasciapassare delle autorità elvetiche. Dall’ottobre di quell’anno Ibrahim Lufty vive in Svizzera, dove nel frattempo lo hanno raggiunto i quattro figli.

Pubblicato il 

13.01.06

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