L'intervista

Vicinanza alla popolazione, coesione sociale, plurilinguismo, multiculturalità e naturalmente più partecipazione delle donne alla vita istituzionale e maggiore riconoscimento nella società. È all‘insegna di questi valori (i suoi da sempre) che Marina Carobbio intende affrontare il suo anno da presidente del Consiglio nazionale (e dell‘Assemblea federale), carica a cui è stata eletta lo scorso 26 novembre (con 154 voti su 172 schede valide). Una carica prestigiosa, che tocca al Ticino per l’ottava volta nella storia, per la seconda a una donna dopo la popolare democratica Chiara Simoneschi-Cortesi esattamente dieci anni fa.

 

Marina Carobbio, 52 anni, sposata e mamma di due figli, di professione medico, appassionata della montagna e della lettura (che le consentono di «vedere il mondo con un altro sguardo», afferma), siede in Consiglio nazionale dal 2007 ed è vicepresidente del Partito socialista svizzero, ma la sua carriera politica è iniziata già sul finire degli anni Ottanta in Ticino, prima a livello di movimenti giovanili poi nel partito e in Gran Consiglio, dove è stata per 16 anni rivestendo anche la carica di capogruppo. Ancora prima è nata la sua passione per la politica, indubbiamente “contagiata” da papà Werner, figura storica della sinistra ticinese e consigliere nazionale per 24 anni. Ma anche dalla mamma Graziella, spiegò al nostro giornale nel 2011 in occasione della sua candidatura al Consiglio federale.

 

Signora Carobbio, era un suo sogno diventare prima cittadina svizzera?
(ride) No, assolutamente. Quando arrivai a Berna nel 2007 non l’avrei mai nemmeno immaginato. È una cosa maturata un paio d’anni fa nel gruppo parlamentare socialista che era chiamato a designare un candidato o una candidata per questo anno presidenziale: dopo essere stata sollecitata da alcuni colleghi ed averne parlato col Ps Ticino e la mia famiglia, mi sono proposta con altri due membri del gruppo Ps e sono stata scelta.


Come si è preparata ad assumere questo oneroso incarico?
I due anni di vice-presidenza sono stati una sorta di apprendistato. Un apprendistato che ci voleva perché non è banale preparare e gestire i dibattiti dell’aula, conoscere i meccanismi tecnici, le procedure eccetera. Trattandosi di un impegno molto oneroso, ho dovuto sospendere già dall’estate scorsa la mia attività professionale di medico e ho rinunciato alla Commissione delle finanze. Continuo invece a lavorare in seno a quella della sanità e della socialità e mantengo gli incarichi di vice-presidente del partito, così come quelli in seno ad associazioni e movimenti di cui faccio parte.


Siamo abituati a vederla difendere sempre con molta fermezza le sue posizioni. Dovrà cambiare un po’ la sua attitudine da questo punto di vista?
Ho deciso di non partecipare ai dibattiti precedenti le votazioni federali ed eviterò di prendere posizioni sui singoli oggetti votati dal Parlamento. È chiaro però che continuerò a difendere i valori che mi appartengono.


Nell’esercizio di questo incarico istituzionale ci sono spazi per far valere le sue sensibilità politiche e sociali?
Certamente. Sarò per esempio oratrice il 1° maggio a Baden. Ovviamente dipende sempre dal contesto: se sarò chiamata a rappresentare il Parlamento, pur senza tradire le mie sensibilità, manterrò un profilo più istituzionale.


Cosa vuol dire rappresentare il Parlamento e quali obiettivi si è posta?
Accetterò molto volentieri gli inviti che giungeranno da ambiti in cui sono attiva da anni, che sono associazioni di carattere sociale, ambientalista, solidarietà internazionale. Per far sentire anche lì la voce della politica. Una politica che non deve vivere su un piedistallo, lontana dalla realtà.


Nel suo discorso ha sottolineato il bisogno di rispetto delle istituzioni. Vuol dire che ne manca?
Si assiste indubbiamente a uno scadimento del dibattito politico, soprattutto quando il confronto non avviene sul merito delle questioni e si scade negli insulti, negli attacchi personali o nella volgarità. E questo non è rispettoso, nei confronti degli elettori che ci hanno designati alla carica che ricopriamo.

 

Sarà una presidente severa da questo punto di vista?
Esigerò il rispetto del regolamento, ma non voglio fare la “maestra severa”, perché non ho di fronte degli allievi ma dei miei pari.


Nel suo discorso d’insediamento ha spiegato che la decisione di condurre i dibattiti in italiano non vuole essere un atto puramente simbolico, ma un passo concreto verso una maggiore consapevolezza dell’importanza delle minoranze linguistiche. Vuol dire che resta molto da fare e che nel nostro Parlamento vale ancora quella vecchia regola non scritta che dice “se vuoi convincere parla in tedesco, se vuoi farti capire parla in francese, se vuoi apparire simpatico parla in italiano”?
Resta molto da fare, ma passi in avanti ne sono stati fatti. Dieci anni fa Chiara Simoneschi-Cortesi conduceva solo una parte dei dibattiti in italiano perché non c’erano le condizioni per fare di più. Oggi invece abbiamo la possibilità di condurli tutti in italiano, perché i servizi del Parlamento si sono attrezzati in questo senso. L’enorme lavoro di preparazione che è stato fatto servirà anche dopo la mia presidenza e consentirà di mantenere a un buon livello il ruolo dell’italiano. Ovviamente la mia scelta richiederà maggiori sforzi a chi non capisce l’italiano, ma questo fa parte delle regole di un paese con quattro lingue nazionali e molte culture. D’altra parte ho ricevuto molte attestazioni di stima anche da molti italofoni che vivono nella Svizzera tedesca.


In che misura ritiene di essere utile al Ticino?
Cercherò di fungere un po’ da ponte, affinché Berna impari a capire meglio il Ticino, soprattutto le peculiarità del suo mercato del lavoro, ma anche perché il Ticino sia più aperto verso il resto della Svizzera, perché noto un po’ troppa chiusura.


Citando la comunista italiana Nilde Iotti (prima donna ad aver ricoperto la carica di Presidente della Camera dei deputati, dal 1979 al 1992, ndr), ha affermato la necessità che «tutti» facciano «finalmente i conti con la vita concreta delle donne». Durante il suo anno di presidenza la Svizzera rivivrà, il 14 giugno, uno sciopero delle donne. Cosa si aspetta da questa protesta e in che modo vi parteciperà?
Mi pare che ci siano le condizioni perché il 14 giugno non sia solo un’iniziativa di partiti, sindacati e movimenti, ma un evento di grande partecipazione e coinvolgimento popolare. Ci sono segnali incoraggianti: si pensi alla grande manifestazione per la parità dello scorso settembre e in particolare alla partecipazione di moltissime giovani donne e uomini che non avevano vissuto lo sciopero del 1991. Oppure ai collettivi che sono nati in varie parti del paese in vista di questo evento. Personalmente non so ancora come lo vivrò, perché sarà l’ultimo giorno della sessione estiva e si terranno le tradizionali votazioni finali sugli oggetti trattati nelle tre settimane precedenti. Il Parlamento non sciopererà, ma non mancherò di sottolineare in qualche modo l’importanza dell’evento.


Cosa si può sperare di ottenere?
Si tratta di compiere un passo in più dopo la manifestazione di settembre, che ritengo abbia già avuto degli effetti. Il fatto che mercoledì siano state elette due donne in Consiglio federale è uno di questi. Ovviamente una maggiore presenza femminile nelle istituzioni non può essere l’unico obiettivo. Restano fondamentali questioni come la parità salariale perché la riforma di legge che uscirà dalla sessione in corso è solo un piccolo passo nella giusta direzione, il sessismo, la violenza contro le donne, la conciliabilità tra professione e vita familiare, molte altre. Dal 14 giugno mi aspetto che si esca con un pacchetto di rivendicazioni concrete che poi trovino ascolto nei palazzi della politica e nella società in generale.


Dopo questo anno particolare, l’attende un’altra legislatura di deputata al Nazionale. E dopo? Sta pensando a un futuro come Consigliera di Stato in Ticino?
In politica non si possono fare programmi a lungo termine. Il prossimo obiettivo è contribuire il prossimo autunno a riportare in Consiglio nazionale due deputati ticinesi dell’area rosso-verde. In seguito si vedrà.


Preferirebbe restare a Berna, magari al Consiglio degli Stati?
Una mia candidatura al Consiglio degli Stati è stata evocata da qualcuno ed è una possibilità che non escludo, ma che sarà da discutere anzitutto con il mio partito. Non nascondo che la politica a livello federale mi interessa molto.

Pubblicato il 

05.12.18
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