Il Parlamento federale oggi approverà in via definitiva il protocollo aggiuntivo all’accordo con l’Unione europea sulla libera circolazione delle persone e un rafforzamento delle misure accompagnatorie approvate nel 1999. Due oggetti che le Camere hanno deciso di unire in un solo pacchetto nel chiaro tentativo di indebolire i fronti referendari, sia a destra che a sinistra. Al termine del dibattito abbiamo chiesto un bilancio al Consigliere nazionale socialista e membro del comitato direttore del sindacato Unia André Daguet. «Abbiamo sempre detto che se non si fosse trovata una regolamentazione in grado di risolvere i problemi del dumping sociale e salariale, non avremmo garantito l’appoggio all’estensione della libera circolazione», premette il sindacalista bernese, prima di tracciare un bilancio tutto sommato positivo di quanto deciso nelle scorse settimane dalle Camere federali. «Il pacchetto di misure proposto dal Consiglio federale e negoziato tra le parti sociali era il minimo che si poteva pretendere e il Parlamento lo ha accolto – spiega Daguet –. Per certi versi sono stati apportati addirittura dei miglioramenti. Penso per esempio alla decisione di obbligare le agenzie di lavoro temporaneo a partecipare al finanziamento dei costi dovuti al pensionamento anticipato nel settore dell’edilizia. Una decisione importante, visto che ci sono dei padroni che ricorrono a queste agenzie per non dovervi contribuire». Il Parlamento si è limitato a rafforzare le misure decise nel 1999 senza adottarne di nuove, come chiedevano i sindacati. Ritiene che sia sufficiente per prevenire e combattere il dumping salariale? Dal primo giugno, con l’entrata in vigore della seconda fase della libera circolazione, abbiamo constatato che i controlli e il sistema delle sanzioni non funzionano e che, per quel poco che si è potuto verificare, molte imprese commettono degli abusi. Grazie alla forte pressione esercitata dai sindacati, il presidente Joseph Deiss ha capito che bisognava agire e ha messo in campo una speciale task force chiamata a vigilare sull’applicazione da parte dei cantoni delle misure e delle sanzioni contro la violazione delle condizioni di lavoro. Non possiamo ancora pronunciare un giudizio definitivo, ma credo che, vista la seria minaccia di referendum da parte sindacale, nei prossimi mesi si giungerà ad un’applicazione più rigorosa delle norme già in vigore. Il lancio del referendum quindi non si giustifica? Oggi non vedo alcuna ragione di lanciare il referendum. Comunque da qui alla votazione, Confederazione, Cantoni e padronato dovranno dimostrare un impegno sincero contro la pressione sui salari. Nel sindacato il dibattito è però ancora aperto. Almeno ufficialmente... Mercoledì il comitato centrale di Unia si è espresso contro il lancio o il sostegno del referendum e lunedì se ne occuperà l’Unione sindacale svizzera e credo che deciderà pure in questo senso. La sezione ticinese di Unia ha già annunciato il lancio o il sostegno del referendum, indipendentemente dalle decisioni delle istanze nazionali. Cosa ne pensa? Lo dico chiaramente. Unia è un’organizzazione democratica, al cui interno hanno spazio tutte le opinioni, ma una volta presa una decisione, tutti si devono adeguare, a tutti i livelli. La questione del referendum sarà discussa anche dall’assemblea dei delegati Unia del 15 gennaio, che avrà la possibilità eventualmente di cambiare la decisione del comitato centrale. Questa è la teoria. Ma Unia Ticino lancerà il referendum... Io non contesto quello che faranno le singole persone. A nessuno sarà impedito di partecipare ad un comitato referendario, ma l’organizzazione e le persone che hanno posizioni di responsabilità nella medesima devono rispettare le decisioni prese democraticamente. Ne va anche della credibilità politica del nuovo sindacato Unia. Le camere hanno approvato un aumento del numero di ispettori del lavoro, che a livello svizzero saranno circa 150. Lei crede che la maggioranza borghese sia pronta, a livello federale e cantonale, a garantire il finanziamento necessario? È chiaro che questo potrebbe rivelarsi un problema. Ma la Confederazione e i Cantoni sanno che c’è un movimento sindacale in grado di esercitare la necessaria pressione. Non crede che la decisione di unire i due oggetti in un unico pacchetto e la forte presenza di immigrati in Unia costituiscano il vero ostacolo al lancio del referendum? Unia avrebbe preferito che i due oggetti venissero mantenuti separati: il potenziamento delle misure anti–dumping non è necessariamente legato all’estensione a Est della libera circolazione, visto quanto constatato negli scorsi mesi. D’altro canto la decisione del Parlamento ha un certo valore, poiché rende chiaro a tutti che non ci può essere libera circolazione della manodopera senza misure anti–dumping. Per quel che riguarda gli immigrati (più della metà dei nostri membri), sono sempre stati d’accordo di esercitare pressioni attraverso la minaccia del referendum ma oggi farebbero fatica a comprendere che il loro sindacato si lanci in una campagna come alleato dell’Udc. Ritiene che in vista della votazione il sindacato dovrà condurre una campagna attiva in favore della libera circolazione? È troppo presto per dirlo. Una volta risolta la questione “sì o no” al referendum, si tratterà di verificare se governo, Cantoni, padroni e commissioni tripartite faranno il loro lavoro. Se sarà così faremo campagna a favore. Vuol dire che al momento della votazione il sindacato potrebbe anche esprimere un’indicazione di voto negativa? Siamo nel campo della speculazione. Personalmente, sono convinto che il sindacato abbia esercitato ed eserciterà una sufficiente pressione per ottenere i risultati auspicati e dunque per poter condurre una campagna a favore. D’altra parte abbiamo ancora abbastanza tempo a disposizione prima di decidere definitivamente sulle indicazioni di voto.

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17.12.04

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