Negozi, basta ideologia

Un paio di settimane fa due progetti assai diversi l'uno dall'altro di liberalizzazione degli orari d'apertura dei negozi nei cantoni di Lucerna e Turgovia sono stati sorprendentemente respinti in votazione popolare. Nel frattempo il Tribunale federale ha dato ragione al sindacato Unia che in Ticino aveva inoltrato ricorso contro tutta una serie di deroghe che consentivano l'apertura dei negozi in diversi giorni festivi infrasettimanali (cfr. pag. 3). Le lavoratrici e i lavoratori del settore della vendita marcano così importanti punti a loro favore. A farne le spese è un approccio ideologico alla questione dei tempi di lavoro, un approccio che sacrifica ogni altro interesse sull'altare delle presunte e mai dimostrate necessità dell'economia e che è stato finora dominante in Ticino come in numerosi altri cantoni.
Particolarmente significativa è la vittoria di Unia nel caso ticinese. Il ricorso riguardava una serie di festività infrasettimanali per le quali il Consiglio di Stato ticinese nel 2005 aveva concesso l'apertura straordinaria e generalizzata di ogni tipo di negozio sull'intero territorio cantonale. Una decisione, quella del governo, che fu presa contro il parere dei servizi competenti del Dipartimento finanze ed economia e che oggi il Tribunale federale qualifica di arbitraria. Fu una decisione che il governo, come nota la sentenza del Tribunale federale, motivò con «non meglio specificate ragioni di politica economica»: fu, in altri termini, una decisione ideologica. E se si può capire, proprio dal punto di vista ideologico, che a voler quelle aperture fossero la Camera di commercio, la Federcommercio e i grandi distributori, meno si capisce che a loro si siano uniti i sindacati Ocst, Sic, Sit e Syna. Ma soprattutto è inaccettabile che alla loro richiesta il Consiglio di Stato abbia dato arbitrariamente seguito in qualità di autorità di ricorso, cioè esercitando di fatto la funzione di un tribunale: quanto di meno degno di uno Stato di diritto ci si possa immaginare. La bacchettata sulle dita che il Tribunale federale ha dato al governo ticinese è di quelle che fanno male.
Questo è l'ennesimo caso che dimostra quanto l'approccio ideologico di Marina Masoni e dei vertici del suo Dipartimento alle questioni economiche sia stato dominante e pervasivo nell'ultimo decennio. Non osiamo immaginare in quanti e quali altri casi l'ideologia dei più forti sia prevalsa sul diritto, che è l'unica vera difesa di cui dispongono i più deboli. Ma anche rimanendo in tema di negozi lo spregio delle norme pianificatorie per consentire l'edificazione di giganteschi centri commerciali è lì da vedere. Ora la reazione stonata del presidente della Camera di commercio Franco Ambrosetti alla sentenza del Tribunale federale la dice lunga sul nervosismo di chi, col tramonto della stella di Masoni, vede svanire anche i suoi privilegi. Ma si mettano il cuore in pace, lui e i suoi potenti alleati: il tempo delle ideologie sta tramontando. Questo significa che sugli orari d'apertura dei negozi in Ticino una soluzione sarà possibile soltanto prestando la massima attenzione agli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori e nel pieno rispetto della volontà popolare, che di liberalizzazioni non ne vuol sentire parlare. Perché nella vita ci sono altri valori da difendere oltre a quello dei soldi di Ambrosetti e dei suoi compari.

Pubblicato il

02.06.2006 00:30
Gianfranco Helbling
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