Italia

Luana era bella, giovane, aveva persino fatto la comparsa in un film di Pieraccioni. 22 anni lei, 5 il suo bambino, operaia a un orditoio nel distretto tessile di Prato. Di lei i giornali ci hanno raccontato la marca del profumo preferito, le passioni e i sogni, il timore per un’ipotetica cellulite, insomma hanno messo in campo tutte le componenti dello squallore narrativo necessarie a trasformare una ragazza morta sul lavoro in una favoletta.

 

Non è stato il destino cinico e baro a ucciderla, bensì il rullo del macchinario a cui operava, evidentemente privo della protezione obbligatoria, che l’ha risucchiata e divorata senza lasciarle il tempo di chiedere aiuto. Luana ha conquistato l’attenzione generale dell’informazione e della politica, il ministro del lavoro si è mosso per portare ai familiari le condoglianze del governo. Informazione e politica regolarmente ignorano le quotidiane stragi nel lavoro di operai, muratori, contadini e con il Covid medici, infermiere, portantini, autisti di scuolabus. O semplicemente tacciono, in fondo quei tre morti quotidiani sono il prezzo da pagare al progresso, e chi non si definisce oggi progressista, termine tra i più ambigui del nostro vocabolario? Solo poche settimane fa, sempre nel distretto tessile di Prato, Jaballah, due anni in meno di Luana, era stato ucciso da un’altra macchina tessile. Ma non era che un tunisino, una delle due o tre vittime di quel giorno, due righe in cronaca nel quotidiano locale.
Dopo Luana, uccisa il primo giorno lavorativo dopo il 1° Maggio, in tanti non sono tornati a casa a fine turno. Maurizio di anni ne aveva 46, schiacciato in un cantiere della Bergamasca da una lastra di cemento armato detta ‘bocca di lupo’; giovedì in 5 hanno pagato il loro tributo al capitale e alla sua incuria per la vita dei lavoratori che considera appendici delle macchine, e la sicurezza non un investimento ma un costo: Samuel 20 anni ed Elisabetta di 52 muoiono a Gubbio nell’esplosione di un laboratorio di cannabis a fini terapeutici, tre loro compagni feriti; Andrea, soffocato a Sorbolo nel Parmense dal mangime che stava mobilitando con un muletto; Sandro, contadino sessantaquattrenne a Teodone in val Pusteria, travolto da una balla di fieno da 400 chili; a Campomarino in Molise in un cantiere autostradale un operaio di cui sono state diffuse solo le iniziali, M.T., precipitato da un’impalcatura per 30 metri. Dopo il giovedì nero il venerdì, e il sabato: Christian di 49 anni, operaio metalmeccanico a Busto Arsizio nel Varesotto, schiacciato da un tornio e Marco, 52 anni, precipitato da un’impalcatura mobile su ruote (trabattello). Mi fermo qui, ma la strage non si ferma.

 

Nei cantieri la situazione peggiore
Nel 2020, primo anno di pandemia, 1.270 morti di lavoro, 181 in più dell’anno precedente pur essendo diminuiti quelli in itinere per la lunga chiusura di aziende per Covid, e alla drastica riduzione delle ore lavorate si deve il relativo calo degli infortuni. Le morti aumentano perché in un anno in cui il lavoro è stato considerato un privilegio, si è operato in condizioni peggiori e minori livelli di sicurezza. Ma non sono certo diminuite le ore lavorate nelle strutture sanitarie che hanno dato il loro terribile contributo all’ecatombe. Il 2021 è iniziato anche peggio: nel primo trimestre i morti (185) sono aumentati dell’11,4% sullo stesso periodo del 2020. È nei cantieri che infortuni e morti crescono di più, addirittura del 150%, e nell’edilizia il 33% delle vittime è risultato irregolare.


E la politica? Dal 2008 è operativo l’importante testo unico sulla sicurezza, ma non ci sono fondi sufficienti per la formazione dei lavoratori e i controlli. Nel 2019 è stata varata una commissione monocamerale d’inchiesta sulle condizioni di lavoro ma a oggi non è stata neppure costituita, mentre il governo Conte 1 ha ridotto le risorse per gli investimenti su salute e sicurezza. Gli ispettori Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) dispone di appena 246 ispettori, l’istituto prevenzione delle Asl ne ha 2.000 contro i 4.500 previsti. Si fanno pochi controlli e da un’inchiesta su 10mila aziende è risultato che l’80% non era in regola.

 

Ci sono anche le malattie professionali
Nei numeri sin qui esposti non compaiono le vittime da malattie professionali contratte nel lavoro. Numeri dell’ordine di grandezza di migliaia l’anno. Non è semplice far accettare in sede giudiziaria il nesso causale tra esposizione sul lavoro e malattia contratta, e per di più poche procure hanno la formazione necessaria. Inoltre, molti dei processi avviati non arrivano a sentenza per decorrenza termini. È il caso del processo Eternit, finito in prescrizione nonostante a Casale si continui a morire di mesotelioma pleurico, 50 morti l’anno 35 anni dopo la chiusura dello stabilimento. Disperante una sentenza della Cassazione: «Trascorso un certo lasso di tempo dalla commissione del fatto è giusto che maturi un diritto all’oblio in capo all’autore del reato». L’ex magistrato Raffaele Guariniello sostiene da anni, inascoltato, la necessità di istituire una procura nazionale ad hoc. Prescrizioni e sentenze troppo comprensive con gli imprenditori rafforzano il senso di impunità che porta ad abbassare la guardia.

Pubblicato il 

12.05.21
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