Non sono la mia password

C’era una volta che per saldare le bollette si andava alla posta. Al tempo, mia nonna usava un portadocumenti per ripartire le banconote per pagare questa o quella necessità della vita quotidiana. Mi avrà detto mille volte che vedere cartamoneta la aiutava a tenere sotto controllo il bilancio familiare.


Appartengo ad una delle prime generazioni cresciute con il computer, il primo l’ho avuto a nove anni. Sarà forse per questo che mi sento predestinata all’e-banking, la finanza gestita on-line, e trovo pratico pagare con una carta. Mi aiuta a tenere in ordine la contabilità, in qualche modo come mia nonna, per il vantaggio di avere tutto sotto gli occhi in uno stesso luogo – per lei era un contenitore fisico, per me è una lista di numeri e parole. Non sono insomma una luddista, al contrario ho una genuina passione per le nuove tecnologie. Eppure da un paio di settimane mi sento vagamente molestata dalle banche di cui sono fedele cliente.

 

Bizzarramente, nel giro di pochi giorni sia la Posta svizzera, che il Conto Arancio italiano mi hanno infatti inviato comunicazioni ammiccanti per convincermi a passare alla biometrica. “Face ID”, ovvero la tua faccia, e le tue impronte digitali. La posta nostrana si è spinta oltre, recapitando a non so quanti come me un volantino che sulla copertina sfoggia una faccina sorridente e un dito levato a dire “va bene”, la grafica proprio come quella di uno smartphone. Lo slogan? “Sei la tua password”. Per il momento, le mie due banche sottolineano che non è obbligatorio passare alla biometrica. Grazie! Eppure son quei passaggi epocali che ormai conosciamo.

 

C’è da scommettere che appena i metodi novelli diventeranno popolari, preferire la vecchia maniera significherà pagare qualcosa in più. È già successo con le bollette cartacee, che aziende ormai fatturano a parte, quasi fosse un lusso o uno sfizio. Il ragionamento è: ormai siamo (quasi) tutti in permanenza on-line, ergo tocca al cliente l’onere di stampare, se proprio vuole. Cotante diavolerie moderne tendono per natura a discriminare le generazioni precedenti, quelle che non se la cavano benissimo con l’elettronica di consumo quotidiano. E mettono all’angolo persone che non hanno voglia di dipendere da Internet per ogni fatto della vita. Ma cosa significa “sei la tua password”? Anzitutto vuol dire che il dipartimento marketing di Postfinance forse avrebbe bisogno di un corso di alfabetizzazione informatica. Perché una password ha una caratteristica fondamentale: si può modificare. Non ci vuole una laurea in fisica nucleare per capire che, salvo darsi alla chirurgia plastica, non possiamo cambiare faccia, né impronte digitali – la licenza poetica del pubblicitario ha insomma partorito un nonsense. Come se non bastasse, da alcuni anni gli esperti si dilettano a dimostrare quanto sia semplice appropriarsi dell’altrui identità biometrica.

 

Nel 2015 il Chaos Computer Club di Berlino ha riprodotto le impronte digitali di Ursula von der Leyen, allora ministra della Difesa tedesca e recentemente divenuta presidente della Commissione Europea. Per farlo, è bastato andare a una sua conferenza stampa con una macchina fotografica digitale, scattare primi piani alle sue dita, e rielaborare le immagini al computer. Quando si dice, con pochi click sei la tua password.

Per saperne di più
tinyurl.com/y3fj73mx
tinyurl.com/yx8zg2m3
valigiablu.it/europa-identita-digitale-sorveglianza/

Pubblicato il

10.10.2019 10:41
Serena Tinari
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