Nuova ipotesi di violenza poliziesca

Quale sarebbe il suo vantaggio nel dire il falso? È la domanda da porsi nel caso della presunta aggressione ad opera di agenti della polizia comunale di Lugano denunciata da un cittadino d'origine senegalese residente in Ticino. Riepiloghiamo i fatti, stando alla versione della vittima, da noi ascoltata e in parte già resa pubblica da un comunicato del centro sociale il Molino. Nella tarda serata di giovedì, il ragazzo in sella alla sua bicicletta sta rientrando a casa, nel quartiere di Molino Nuovo. All'altezza del cimitero, un suo amico lo chiama. L'uomo si ferma, il tempo di scambiare quattro chiacchiere con l'amico e arriva una pattuglia della polizia comunale luganese. «Documenti, negro di merda», gli avrebbe inveito contro un agente appena sceso della vettura. Incomincia il controllo e all'amico viene trovata della marijuana. «Te l'ha data l'africano?» chiede l'agente. «No» risponde l'amico. «Non sono uno spacciatore» avrebbe aggiunto la presunta vittima agli agenti. «Stai zitto, negro di merda, tu non devi parlare» gli avrebbe intimato un agente, strozzandolo al collo per farlo tacere. Poi sarebbe partito un primo pugno alle costole dell'uomo. Due ragazze all'esterno di una discoteca nelle vicinanze avrebbero gridato agli agenti di smetterla. L'uomo sarebbe stato quindi trascinato in un angolo al riparo da occhi indiscreti per continuare il "trattamento". L'uomo viene portato alla centrale di polizia di via Beltramina, dove sarebbero proseguite le violenze e le umiliazioni. «Nudo e inginocchiato in cella» spiega ad area «sono stato insultato, deriso e umiliato. A picchiarmi è stato sempre un solo agente, ma gli altri non hanno fatto nulla per fermarlo. Anzi, mi guardavano e ridendo, dicevano: "senti che puzza sto negro"». Verso le 2 di notte, l'uomo viene rilasciato. Su un semplice bigliettino gli intimano di tornare alle 20.30 di venerdì per riprendersi i documenti.
Il ragazzo, che vive da anni a Lugano con la moglie e il suo bambino, è conosciuto nel quartiere. Di formazione cuoco, organizza per feste o ristoranti delle serate di cucina africana. La notizia di quanto gli è accaduto gira veloce in città. Lo sdegno è forte e la solidarietà si spinge lontana, tanto che una sessantina di persone decide di accompagnarlo all'appuntamento in polizia. Tra loro, diversi militanti del centro sociale il Molino, dove a volte l'uomo ha preparato i suoi piatti africani. Ad aprire la porta d'entrata della centrale di polizia è proprio il presunto agente "picchiatore", piuttosto sorpreso di incontrare l'uomo accompagnato dalla moglie, il figlio e una sessantina di persone al seguito. Incalzato dall'uomo sul perché lo abbia trattato in quel modo, l'agente nega tutto. Gli altri poliziotti presenti, interpellati, affermano «non abbiamo fatto niente, era ubriaco, aggressivo e aveva due canne d'erba». In seguito, la polizia comunale ha comunicato e che l'uomo avesse un tasso d'alcolemia superiore all'uno per mille e trovato in possesso di due spinelli di marijuana. Naturalmente questo non giustificherebbe il presunto pestaggio. Altrimenti una buona parte della gioventù ticinese sarebbe in pericolo se fermata dalle forze dell'ordine per questi reati.
La presunta vittima si è poi recata al pronto soccorso dell'Ospedale Civico. La diagnosi medica attesta: «un trauma contusivo costale e un'edema laringeo post trauma». In altre parole, è plausibile che sia stato strozzato e preso a pugni sulle costole. L'uomo sta valutando con il proprio legale l'eventualità di una denuncia nei confronti del poliziotto. La polizia ha invece dichiarato di aver avviato un'inchiesta interna sul caso e di attenderne gli esiti prima di esprimersi ufficialmente.
Appurare la verità ufficiale non sarà facile, come spesso avviene in questi casi. Due versioni opposte si annullano l'un l'altra in assenza di prove. A meno che non saltino fuori delle testimonianze, come le due ragazze che avrebbero gridato agli agenti di smetterla di picchiare il ragazzo. Oppure che un agente presente quella sera, disgustato dal comportamento del collega, decida di parlare. Ma questa è un'eventualità difficile da realizzarsi. In casi analoghi, sovente i poliziotti hanno dato prova di omertà nel nome della solidarietà fra colleghi, come ebbe a scrivere un magistrato inquirente su fatti simili.


I precedenti e una prassi sospetta

Nei primi nove mesi del 2011 sono state una quarantina le denunce per abusi presentate in Ticino nei confronti di agenti di polizia. Una trentina sono sfociate in decreti di non luogo a procedere, mentre per la restante decina «si concluderà con un decreto d'accusa nei confronti di agenti di polizia» aveva dichiarato in conferenza stampa il procuratore generale John Noseda lo scorso novembre. Effettivamente, tre decreti di accusa sono poi stati emessi contro due agenti della polizia comunale di Locarno e un poliziotto della cantonale. I tre erano stati accusati di aver prelevato un giovane tunisino da Locarno, e dopo averlo picchiato, rompendogli anche un braccio, abbandonato a Ponte Brolla in Val Maggia. La magistratura ha contestato agli agenti il solo reato di coazione, non riuscendo a provare il presunto pestaggio. Il domenicale il Caffè aveva scritto dell'esistenza di una registrazione in mano alla procura dove si capiva che «qualcuno sta picchiando qualcun altro».Lo stesso giornale aveva ipotizzato la prassi della polizia di portare le persone a Ponte Brolla e sedarle con violenza. Due casi sospetti avallerebbero l'ipotesi.

Pubblicato il

04.05.2012 02:30
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