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Ticino

Nuova legge sugli orari di apertura dei negozi, Unia ricorre: bugie e mancanza di trasparenza

di

Francesco Bonsaver

Battaglia a tutto campo contro l’entrata in vigore della nuova legge sugli orari dei negozi e il barattato Ccl della vendita, firmato da Ocst, Federcommercio e Disti. La promette Unia, annunciando una serie di ricorsi giudiziari. Fra i molti aspetti critici evidenziati, il risicato quorum di negozi firmatari, necessario per l’entrata in vigore della legge, la cui verifica è stata negata al sindacato dal Cantone. Unia propone anche un’alternativa: «Usciamo dai tribunali e discutiamo di un vero Ccl, dignitoso per il bene delle salariate e dell’intero settore, piccoli commerci in primis».

 

Iniziamo dalla prima critica sollevata dal sindacato: perché tenere tutto nascosto? La mancata trasparenza, si sa, genera diffidenza, alimenta il tarlo del dubbio, del sospetto dell’inganno volutamente celato. Eppure sembra questa la scelta politica del Dipartimento finanze ed economia.
Ricapitoliamo per chi fosse a digiuno in materia. Dei soggetti privati (Ocst, Federcommercio, Disti e due sigle sindacali senza rappresentanza d’iscritti nel ramo) hanno deciso un contratto di lavoro a un tavolo conciliatorio diretto dal Dfe. Unia si era rifiutata di firmarlo perché, dopo aver consultato le sue affiliate del ramo, lo ritiene peggiorativo nei salari e nelle condizioni di lavoro. Per riassumere, stipendi minimi da 3.200 franchi e netto peggioramento della qualità di vita professionale e sociale a causa di un prolungato orario d’apertura dei commerci, come si vedrà in seguito.
Per poterlo decretare d’obbligatorietà generale, il Ccl deve essere sottoscritto dalla metà più uno dei datori di lavoro attivi nel commercio al dettaglio. Dopo anni di cifre ballerine al ribasso sul numero di negozi nel Cantone (passati nell’arco di due anni da 2.000 a 1.100), la sottoscrizione avrebbe superato la metà dei datori per una manciata di firme in più. A certificare che la procedura sia corretta, è sempre il Dfe. Durante la procedura, la Seco aveva espresso delle perplessità anche sul fatto che la grande distribuzione apparisse tra i firmatari del Ccl. Questo perché non sottostà all’obbligo, avendo dei Ccl migliori. Quando Unia chiede in maggio al Dfe di fornire la documentazione per una verifica indipendente visto il risultato risicato, quest’ultimo pone il rifiuto. «Il Dfe abdica così al suo ruolo super partes, scegliendo di stare da una parte» commenta Giangiorgio Gargantini, responsabile terziario di Unia. La legge trasparenza infatti consente all’autorità di decidere in piena autonomia se considerare l’interesse pubblico predominante e dunque consegnare la documentazione a chi ne fa richiesta se lo ritiene opportuno. Dovrebbe essere nell’interesse dell’autorità che la procedura per il varo di una legge sia a prova di bomba. Infine, lo dice la classica massima: se non hai nulla da temere, perché nasconderlo? «Il consigliere di Stato Vitta non rilascia dichiarazioni sul tema, essendo la procedura ancora in corso» risponde ad area la direzione del Dfe, precisando inoltre, che in caso di opposizione, il Consiglio di Stato sarebbe chiamato ad esprimersi e dunque un commento oggi sarebbe prematuro. «Se l’autorità cantonale alza un muro di gomma, è logico nutrire seri dubbi sul fatto che la procedura sia stata corretta» osserva Gargantini.

 

La grande bugia agli elettori
«Non ancora promulgata la legge, Cantone e Lugano hanno già firmato un accordo per aperture fino alle 22.30, sette giorni su sette (domeniche e festivi compresi) dei commerci dei quartieri affacciati sul lago» segnala il sindacalista. «Locarno ha già avanzato la medesima richiesta. E perché i castelli di Bellinzona dovrebbero valere meno dei laghi? O perché la neve delle zone sciistiche dovrebbe valere meno dei laghi?». Gargantini fa riferimento alla deroga prevista nella legge sugli orari dei negozi approvata dai votanti nel 2016, più precisamente l’articolo 10, dove si indica che i negozi in località turistica possono rimanere aperti in deroga dalle 6 del mattino alle 22.30, tutti i giorni della settimana, domeniche e festivi compresi «durante la relativa stagione turistica».


Nel messaggio governativo sulla nuova legge, si specifica che le zone turistiche comprenderebbero una quarantina di località (poco più di un terzo dei comuni ticinesi), situate in zone lacustri e dove vi sono stazioni sciistiche. A questa quarantina, potrebbero aggiungersene altre, come Bellinzona coi suoi castelli, patrimonio dell’umanità. Il governo precisa pure il periodo delle aperture sette giorni su sette fino alle 22.30: «È ipotizzabile che la stagione estiva sia compresa tra la domenica precedente la Pasqua e l’ultima domenica di ottobre, mentre quella invernale tra il 1° dicembre e la domenica dopo Pasqua». Sette mesi quella estiva e quattro quella invernale, in almeno una quarantina di comuni. Siamo molto vicini a un’apertura generalizzata.


Eppure quando si trattò di convincere i votanti della bontà della nuova legge, i favorevoli vendevano la modifica degli orari come roba di poco conto, limitata a una mezz’oretta, dalle 18.30 alle 19 in settimana. «Un’apertura moderata, equilibrata» la definì Christian Vitta alla Rsi pochi giorni prima del voto.


«La popolazione è stata ingannata sull’oggetto in votazione. Quando Unia rendeva attenti sulle deroghe previste nella legge che avrebbero portato a un’apertura quasi generalizzata, il sindacato veniva tacciato di demagogia, di terrorismo. Oggi, purtroppo, si dovrà constatare che avevamo ragione» osserva Gargantini.

 

Il conto lo pagano tutti
«Se i dipendenti dei negozi delle stazioni di servizio non percepiscono la medesima paga dei colleghi dell’intera Svizzera, devono ringraziare chi ha firmato il Ccl della vendita». Non usa giri di parole il sindacalista di Unia per stigmatizzare l’esclusione del Ticino dal resto del Paese. «Il Consiglio federale, lo scrive nero su bianco, ha escluso il nostro cantone perché sarebbe potuto entrare in vigore il Ccl della vendita cantonale che prevede paghe minime da 3.200 franchi invece dei 3.600 obbligatori in tutta la Svizzera negli shop delle stazioni di benzina». Oltre ai lavoratori degli shop delle pompe di carburante, le ripercussioni dei nuovi orari consentiti dalle deroghe, si rifletteranno su tutti i servizi indotti, quali il trasporto pubblico o di pulizia, ad esempio.

 

La proposta
Privato della documentazione in ragione del rifiuto del Dfe, al sindacato non resta altro che inoltrare opposizione a scatola chiusa. «Dando per scontato che il governo boccerà la nostra opposizione, percorreremo tutte le vie per difendere i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, fino al Tribunale federale», spiega il sindacalista. Gargantini lancia una proposta: «Usciamo dai tribunali e ricominciamo da zero. Sediamoci a un tavolo e definiamo un Ccl dignitoso per le salariate e i salariati, e che presenti vantaggi per l’intero settore, piccoli commerci inclusi».

Pubblicato

Mercoledì 26 Giugno 2019

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Ticino
03.04.2019

di 

Francesco Bonsaver

La nuova legge sugli orari di apertura dei negozi in Ticino non è ancora stata pubblicata e già spunta l’accordo tra Lugano e Cantone per l’apertura sette giorni su sette dalle 6 alle 22.30 per sei mesi l’anno quale deroga turistica. Altri comuni seguiranno a breve. Quando nel 2016 gli elettori bocciarono il referendum di Unia contrario alla nuova legge vendita, molti pensavano che in discussione fosse “solo” una mezz’ora in più dal lunedì al venerdì e un’ora al sabato, ignorando le deroghe già previste.

Lavoro e dignità
03.06.2018

di 

Francesco Bonsaver

Sonderfall Ticino, ossia il caso particolare del cantone a sud delle Alpi, dove i salari legali nel resto della Svizzera qui non hanno invece validità. È il caso del contratto collettivo di lavoro per il personale dei negozi delle stazioni di servizio di carburante, decretato dal primo febbraio di obbligatorietà generale sul territorio nazionale dal Consiglio federale. Il contratto, negoziato tra le parti sociali a livello svizzero, prevede un salario minimo per il personale non qualificato di 3.700 franchi per tredici mensilità, ridotto a 3.600 in alcuni cantoni di frontiera.
In Ticino no, vige la libertà di mercato che consente al datore di approfittare della necessità di lavoro della manodopera d’oltreconfine per imporre salari coi quali i residenti non possono vivere, se non ricorrendo ad aiuti finanziati dalla collettività.


Lavoro e dignità
04.06.2018

di 

Francesco Bonsaver

«Perché il mio lavoro in Ticino vale meno che in Svizzera?». La domanda posta da Angela* riassume la problematica della mancata inclusione dei salari minimi per gli shop delle stazioni di servizio nel cantone. Fiera di essere svizzera, Angela non riesce a capacitarsi della decisione del Consiglio federale di aver escluso il Ticino. «Se ritengono giusto che in Ticino le persone siano pagate meno, allora dovrebbero ridurre ai ticinesi la Billag, le casse malati o tutti i costi federali obbligatori. E anche i prodotti dei supermercati Migros o Coop dovrebbero costare meno in Ticino, visto che ci pagano meno».

Il commento
06.06.2018

di 

Francesco Bonsaver

Una parte importante della ricchezza accumulata dalle famiglie Cattaneo, Centonze e Baumgartner è quella prodotta dalle loro dipendenti delle stazioni di servizio, rispettivamente City, Ecsa-Pt Easy Stop e Piccadilly.
È con il lavoro di queste donne (e qualche uomo), che inizia all’alba e si chiude a notte tarda, festivi e domeniche comprese, che queste famiglie ticinesi possono accumulare anno dopo anno i guadagni incassati dalla vendita di prodotti a prezzi maggiorati senza alcun costo supplementare della forza lavoro.

Lavoro
08.02.2017

di 

Francesco Bonsaver

Uno stipendio di 3.600 franchi lordi al mese è appena sufficiente per vivere in Ticino. Non la pensano così la famiglia Centonze e Cattaneo, rispettivamente Ecsa e City Carburoil, che hanno fondato un’associazione per evitare che quel salario minimo entri in vigore. «Fronteggiare il Ccl nazionale dei negozi delle stazioni di servizio in Svizzera». Chiaro e diretto lo scopo dell’Associazione ticinese dei gestori delle stazioni di servizio. Impedire l’obbligo di pagare stipendi di 3.600 franchi lordi mensili in Ticino, scaturiti dal recente accordo tra partner sociali a livello nazionale. L’associazione ticinese è composta da diciassette membri, che insieme gestiscono circa la metà delle stazioni di servizio presenti nel cantone. L’altra metà dei gestori ticinesi non vi ha aderito, intuitivamente perché già paga stipendi in linea con il Ccl previsto.

L'editoriale
30.06.2016

di 

Francesco Bonsaver

Dalla bozza di contratto della vendita in Ticino escono molti vincenti e alcuni perdenti. La grande distribuzione si colloca senza dubbio fra i primi, ottenendo orari prolungati e festivi senza neanche una minima contropartita. I piccoli commercianti invece una cinquantina di franchi d’aumento li hanno concessi. Ci auguriamo che quegli orari prolungati non si traducano nel suicidio della categoria, consegnata di fatto al concorrente naturale, i centri commerciali e la grande distribuzione. Sul piano politico, il consigliere di Stato Christian Vitta passa per colui che è riuscito là dove altri hanno fallito. Se poi il risultato sia un passo avanti di società, vi è da dubitarne fortemente.
Tra i vincenti bisognerebbe forse annoverare anche l’Ocst. Abdicando allo scopo principe di un sindacato della difesa degli interessi dei lavoratori, ha preferito allinearsi ai desiderata padronali pur di avere un contratto e, di riflesso, le quote sindacali. A passare alla cassa saranno le venditrici e i venditori, mentre le aziende approfitteranno di prezzi discount. Ci spieghiamo.

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