«Siamo degli investitori a tutti gli effetti e non possiamo solo pensare in termini di rendimento finanziario. Gestiamo delle cifre importanti impiegando il denaro dei nostri affiliati. Per noi è chiaro che abbiamo una responsabilità economica oltre che finanziaria nei loro confronti. Ma questo è un discorso che all'interno del panorama degli istituti di previdenza elvetici è difficile da far passare. Forse questa crisi farà risvegliare le coscienze». Sabine Rindisbacher, amministratrice della cassa pensioni dei dipendenti della città di Zurigo, non ha alcun dubbio: fra i compiti degli istituti di previdenza che gestiscono ormai l'enorme cifra di 600 miliardi di franchi di averi pensionistici (si veda il grafico in pagina), che sono i soldi delle lavoratrici e lavoratori, vi è anche quello di far valere la propria voce in qualità di azionisti, e quindi di proprietari ultimi di impresa. Un proprietario che dovrebbe valutare la direzione e la bontà delle sue azioni. Ma questo ruolo, come ha spiegato ad area Rindisbacher, spesso gli investitori istituzionali, come le casse pensioni ma anche lo stesso Stato, o non l'hanno voluto rivestire o l'hanno fatto con riluttanza.
Il caso più eclatante è Ubs i cui azionisti (quanti di loro?) si sono pronunciati ieri sui 68 miliardi elargiti dallo Stato. Problemi di chi ha scelto di commerciare in titoli finanziari? No, perché in realtà siamo tutti azionisti. I nostri 600 miliardi in pensioni sono infatti piazzati volenti o nolenti sui mercati finanziari. Ce ne siamo ricordati poco tempo fa quando il Consiglio federale ha deciso di abbassare il tasso di interesse sul capitale di vecchiaia proprio a causa degli andamenti borsistica. Una decisione timidamente contestata proprio a causa della scia dell'attuale crisi finanziaria.
Ma quanto abbiamo detto e quanto abbiamo fatto in questi anni in qualità di azionisti? Cosa hanno fatto le nostre casse pensioni? Perché in realtà l'impegno della cassa pensioni della città di Zurigo, anche se previsto dalla legge, è un caso isolato.
«Infatti è stato fatto molto poco – ci ha detto Dominique Biedermann della fondazione Ethos, che proprio su questo punto cerca da anni di risvegliare le coscienze –. L'importante non è che le casse pensioni si facciano rappresentare da noi. L'importante è che discutano e facciano pressione sulle imprese per avere una buona e trasparente conduzione d'impresa. Non so se questa crisi farà capire ai più reticenti che è il caso di agire». E fra i cantoni dove pare si sia fatto meno in questi anni c'è proprio il Ticino; il dato emerge da una piccola indagine (vedi box a sinistra) che area ha condotto presso i tre maggiori istituti di previdenza del cantone: la cassa pensioni dei dipendenti dello Stato, quella della città di Lugano e quella dell'ente ospedaliero cantonale (Eoc). Su questa assenza ingiustificata delle casse alle assemblee abbiamo intervistato Ignazio Bonoli, presidente per sette anni del consiglio di amministrazione della cassa pensioni dell'Eoc, economista e granconsigliere.

Ignazio Bonoli la legge sulla previdenza professionale prevede che le casse pensioni definiscano le regole per far valere i propri diritti in qualità di azionisti. Come è stata regolata la questione presso la cassa pensione dei dipendenti dell'Eoc?
Di regola non partecipiamo alle assemblee, questa è la politica che abbiamo adottato. Le azioni che possediamo sono in mano a un gerente. Non siamo mai stati interessati a partecipare alle assemblee degli azionisti. È il gerente a esercitare eventualmente questo diritto, in casi particolari possiamo decidere di dare un'indicazione di voto.
D'accordo non partecipate alle assemblee. Ma avete avuto delle discussioni all'interno del comitato dell'istituto su questa scelta?
No. La cassa pensioni dell'Eoc ha del resto in portafoglio poche azioni (152 milioni di azioni svizzere ed estere su un capitale di 500 milioni nel 2007, ndr).
Lei non crede che le casse pensioni si affidano troppo spesso a gestori esterni che poi li rappresentano anche come azionisti?
Il problema non si è mai posto. Come la maggior parte degli investitori privati e degli istituti di previdenza scegliamo il nostro portafoglio facendo attenzione ai rischi che corriamo e evidentemente al rendimento che possiamo ottenere. Non vogliamo e non possiamo andare a vedere cosa fa la singola impresa in cui investiamo.
Ma lei che è anche economista non vede un problema in questo contesto in cui molte casse pensioni come la vostra – ma anche investitori quali lo Stato e altre aziende legate al pubblico –  non fanno valere i loro diritti di azionista? Siete proprietari di un'azienda, ma non volete interessarvi della sua conduzione e di come viene gestita.
Il problema esiste, ha ragione. Ma prendiamo il contesto in cui agiamo sia noi che le altre casse: abbiamo un portafoglio di investimenti. La legge ci dice quanto dobbiamo farlo rendere e quali sono i veicoli per farlo fruttare. Si immagini se una piccola cassa pensione come la nostra si può permettere di fare il lavoro che lei sta descrivendo. È impensabile nello stato attuale. Quasi tutti hanno dei gestori di fiducia a cui si affidano, anche noi abbiamo fatto questa scelta perché con le nostre dimensioni non avevamo alternative.
Mi prende in contropiede. Pensavo che foste molto più sensibili su questo argomento. Conta solo il rendimento quindi per voi?
No, evidentemente. Abbiamo avuto delle discussioni in Comitato sull'etica degli investimenti e su come mettere in atto questi principi. Eppure le assicuro che il problema principale delle casse pensioni, compresa la nostra è quello di raggiungere un rendimento che possa pagare gli interessi sul capitale tecnico. Cosa che in questi tempi è piuttosto difficile per tutti. Ma la critica che lei fa va girata a tutto un sistema che è basato sul rendimento e che i gestori delle casse pensioni non possono far altro che portare avanti secondo gli obblighi di legge.
Il compito di un istituto di previdenza è quello di elargire pensioni ai propri affiliati. Non crede che le casse pensioni siano diventate piuttosto dei gestori patrimoniali che fanno guadagnare banche e intermediari?
Siamo condizionati dalla legge e dagli aspetti tecnici. Le ripeto: per noi l'investimento azionario è limitato, non siamo appunto in grado di valutare singole questioni tecniche. Cerchiamo di agire nel migliore dei modi nel campo di gioco che ci è stato concesso: consultiamo uno specialista che ci presenta gli scenari possibili prima di dare mandato a un gestore che farà determinati tipi di investimento. La natura delle scelta che ci competono sono di questo tipo.
Quindi di natura puramente finanziaria?
Sì. Non siamo in America dove con la forza di una singola cassa pensione possiamo avere un peso specifico nel mercato finanziario.

Padroni assenteisti

Lo ammette chiaramente e con molta onestà Ignazio Bonoli nell'intervista a fianco: la cassa pensione dell'Eoc che ha presieduto, ma più in generale anche le altre ticinesi e anche di oltre Gottardo aggiungiamo noi, hanno raramente esercitato il diritto di voto presso le assemblee degli azionisti. La motivazione principale è comune a quasi tutte le casse: è troppo difficile seguire i singoli casi e gli aspetti tecnici sono troppo complicati, prima viene il rendimento. Spesso sono gli stessi gestori esterni che esercitano questo diritto, gestori-arbitri che sono spesso anche i giocatori in campo. Ci troviamo così paradossalmente con ben 600 miliardi di franchi di averi pensionistici, una somma che è destinata a crescere, che hanno fatto e continuano a fare gola alla finanza, alle banche e ai loro intermediari. E finché l'ubriacatura collettiva è durata ben pochi hanno voluto vedere che il re era nudo.
Così, volenti o nolenti, ci troviamo tutti nella condizione di azionisti, e quindi di proprietari di un pezzo di impresa. Tuttavia siamo stati proprietari perlopiù assenti che hanno lasciato in questi anni al timone manager strapagati e foraggiato acriticamente la macchina della finanza globale. La finanza non ha e non ha avuto cani da guardia, ma di riporto.

Pubblicato il 

28.11.08

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