L'editoriale

Come in altri paesi europei, anche in Svizzera il Certificato Covid, obbligatorio dal 13 settembre scorso negli spazi interni di bar, ristoranti e strutture sportive, culturali e del tempo libero, è da settimane al centro di proteste di piazza in varie città. Al grido di “libertà, libertà”, presunti “amici della Costituzione” che rivendicano il diritto di infettarsi e di infettare e politici che cavalcano il malcontento e le paure della gente ne chiedono l’abolizione.

 

A differenza di tutto il resto d’Europa e del mondo, le svizzere e gli svizzeri hanno però il privilegio di potersi esprimere sulle sorti di questo strumento che attesta l’avvenuta vaccinazione contro il Covid, la guarigione o la negatività al tampone e che ci consente, anche in una situazione pandemica e sanitaria tutt’altro che tranquilla, di viaggiare e di vivere normalmente la nostra quotidianità. L’occasione è data il prossimo 28 novembre, quando il popolo si esprimerà (per la seconda volta nel giro di 6 mesi) sulla cosiddetta Legge Covid-19, la base legale dei provvedimenti del Consiglio federale per far fronte alla pandemia e limitare i danni economici. Si voterà in particolare, sulle modifiche approvate dal Parlamento la scorsa primavera e contro cui è stato promosso con successo il referendum.


Nel mirino dei promotori c’è soprattutto quella che istituisce la base legale per il Certificato Covid, una misura che a loro dire discriminerebbe i non vaccinati, sarebbe divisiva della società e una minaccia per la pacifica convivenza. Ma anche l’ulteriore sviluppo del sistema di tracciamento dei contatti (fondamentale per interrompere le catene di contagio) porterebbe a un «controllo elettronico di massa» della società. E in generale si andrebbe verso una «dittatura sanitaria» del Consiglio federale. L’estensione degli aiuti finanziari per lavoratori, aziende e settori economici colpiti dagli effetti della pandemia non è per contro contestata e i referendisti si guardano bene dal parlarne, perché un’eventuale bocciatura della legge farebbe cadere pure quelli insieme al Certificato Covid.


Anche se i sondaggi effettuati a sei settimane dal voto delineano una chiara maggioranza in favore della Legge Covid (63%), è probabile che l’esito sia più tirato rispetto alla prima votazione del 13 giugno scorso (60% di sì), quando l’opposizione alle misure di lotta al coronavirus erano concentrate in alcuni cantoni della Svizzera centrale e orientale. Anche perché allora al centro del dibattito c’erano gli aiuti economici per i soggetti toccati dalle chiusure, mentre oggi l’attenzione è più spostata su aspetti che toccano le libertà individuali. Inoltre il clima politico è più avvelenato di allora, come dimostrano alcune manifestazioni violente, oppure le aspre contestazioni e le minacce che giungono a politici e funzionari.


E poi questa volta c’è il fattore Udc, il partito del presidente della Confederazione, che si è schierato apertamente con i promotori del referendum: la propria sezione giovanile, “comitati di cittadini”, “amici della Costituzione” che raggruppano gruppuscoli di “No pass” e “No vax”, più o meno gli stessi che in altre fasi della pandemia facevano i “no mask” contro l’uso delle mascherine, gli “aperturisti” contro le chiusure di bar e ristoranti, i “negazionisti” della pandemia. E che hanno saputo costruirsi attorno un piccolo esercito di scontenti, di persone insicure, spaventate e male o poco informate. Per il partito di Christoph Blocher e del suo scagnozzo Marco Chiesa un’occasione davvero propizia per marciare ancora una volta sulle paure e le insicurezze della gente nel tentativo di guadagnare qualche consenso, anche a costo di mettere in difficoltà i propri rappresentanti nei governi federale e cantonali che sono chiamati ad adottare e ad applicare misure a tutela della salute dei cittadini, assolutamente incompatibili con le “ricette” propugnate dal loro partito a puro scopo propagandistico.


Una propaganda prima di tutto pericolosa per la salute pubblica perché mette in discussione strumenti necessari ad affrontare la pandemia, ma anche disonesta, perché tenta di far credere ai cittadini che si sentono privati della loro libertà che dal 29 novembre sparirebbe l’odiato Certificato Covid. Non è assolutamente così, perché, anche in caso di bocciatura, la Legge Covid-19 non decadrà prima del 19 marzo 2022, cioè un anno dopo la sua approvazione (come prevede la Costituzione).

 

L’obbligo di certificato potrà continuare a sussistere. Semplicemente non se ne potranno più emettere di nuovi, con tutte le complicazioni che questo potrebbe comportare per chi desidera semplicemente prendere un aereo o recarsi all’estero. E altre misure di lotta alla pandemia come l’obbligo del porto della mascherina in determinati luoghi potranno sempre essere adottate sulla base della legge contro le epidemie. Con buona pace dell’Udc, di no pass, no vax, no mask e compagnia bella.

Pubblicato il 

21.10.21
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