Ambiente & Politica

Siamo sommersi dai rifiuti plastici. Se ne trovano sulle Alpi, nei laghi, nei mari, ovunque. Se non sarà invertita la rotta, il mondo soffocherà sotto montagne di questo materiale icona del consumismo usa e getta. Le persone vogliono contribuire a evitarlo, ma la politica temporeggia discutendo se sia meglio bruciarla o riciclarla. Il riutilizzo contribuirebbe a evitare nuovi immissioni, ma la vera soluzione passa dall’evitare di produrne a dismisura.

Una decina di anni fa, in Svizzera si consumavano 125 kg di plastica per abitante. Oggi è molto probabile che le quantità siano cresciute, ma l’Ufficio federale dell’ambiente ha smesso di aggiornare la statistica. Se siamo tra i campioni mondiali del riciclo di vetro, carta e alluminio con un tasso tra l’80 e il 90% di riciclo, nella plastica facciamo una magra figura col 10%, soprattutto se paragonati ad Austria e Germania dove se ne ricicla quasi la metà. Eppure la Svizzera consuma il triplo della plastica rispetto ad altri Paesi europei, ma ne ricicla il 30% in meno.


Il motivo della poco onorevole posizione, è dovuto essenzialmente a due motivi. A monte, perché le ditte utilizzatrici di plastica, e chi la produce, non sono incentivate a favorirne il suo riciclo o a ridurre lo sperpero di materia prima. A valle invece, quando la plastica finisce nella spazzatura, le autorità federali e cantonali preferiscono utilizzarla per alimentare gli inceneritori piuttosto di favorirne il riciclaggio.


La popolazione sembra invece favorevole al suo riciclo, contribuendovi fattivamente. L’esempio virtuoso viene dai cittadini di Bellinzona. Nei primi cinque mesi del progetto pilota introdotto nella capitale, sono stati venduti 84mila sacchi e raccolte 58 tonnellate di plastica da riciclare. Cittadini dunque ben disposti a spendere e separare, affinché la plastica sia riciclata. Quest’ultima, raccolta a costo zero per il Comune dall’impresa RS Recupero Materiali di Bironico, è destinata alla InnoRecycling nel Canton Turgovia, azienda leader del settore che da decenni ha sviluppato dei procedimenti industriali per riciclare la plastica destinata a una seconda vita. Dalla plastica “bellinzonese”, ad esempio, nasceranno nuovi tubi per le canalizzazioni delle acque sporche.

Bruciarla o riciclarla?
L’Ufficio cantonale dei rifiuti, preoccupato per il successo popolare dell’iniziativa bellinzonese, teme che l’esempio positivo possa estendersi ad altri Comuni. Quest’estate ha inviato una circolare ai Comuni sconsigliando loro di seguire l’esempio della capitale, prima di un bilancio finale del test di Bellinzona. Nella sua lettera, l’Ufficio cantonale sposa la tesi dell’Ufficio federale dell’ambiente, secondo il quale riciclare la plastica è sconveniente economicamente e persino antiecologico se paragonato al sistema d’incenerimento della plastica come quello di Giubiasco.

 

L’autorità cantonale si appoggia su uno studio commissionato dall’Ufficio federale dell’ambiente del 2017, denominato “Kurve”. In sintesi, lo studio arriva alla conclusione che «in Svizzera il riciclo della plastica costerebbe 750 franchi a tonnellata, mentre bruciarla negli inceneritori ne costa 250». Oltre a costare un terzo, stando all’autorità federale, si evita di bruciare la nafta negli immobili grazie alle reti di teleriscaldamento collegate agli inceneritori. «Quello studio è stato commissionato da 8 Cantoni che gestiscono inceneritori, dunque in evidente conflitto d’interessi» ha replicato Okkio, l’Osservatorio ticinese della gestione ecosostenibile dei rifiuti. «Poiché nessuna industria che si occupa di riciclaggio è stata ammessa al gruppo di lavoro, queste ultime hanno commissionato un loro studio che presenta dei risultati opposti allo studio Kurve (ndr, “Riciclaggio della plastica: 12 tesi ecologiche, economiche ed ecoefficienti”)». A questo punto, i semplici cittadini sono disorientati. La plastica va riciclata o bruciata negli inceneritori?


Il problema non sussiste
L’interrogativo è in realtà un falso problema. Tecnicamente parlando, almeno. L’inceneritore di Giubiasco nello scorso anno ha bruciato 160mila tonnellate di rifiuti, il massimo della capacità dell’impianto. A Bellinzona, la plastica riciclata dai cittadini è stata di 60 tonnellate. Se altri Comuni dovessero seguirne l’esempio, poniamo si arrivi a un ipotetico 500 tonnellate complessive. Ciò equivale allo 0,31% di quanto bruciato nell’inceneritore.

 

«Tecnicamente – conferma Claudio Broggini, direttore dell’Azienda cantonale dei rifiuti (Acr) – essendo dei quantitativi molto ridotti, l’impatto della raccolta della plastica destinata al riciclo sarebbe ininfluente sull’andamento dell’inceneritore. Lo dimostrano le esperienze già acquisite in altri inceneritori cantonali». Inoltre, specifica Broggini, sebbene la plastica abbia un elevato potere calorico, esistono altre tipologie di materiale altrettanto caloriche per far funzionare al meglio l’impianto. «Il teleriscaldamento bellinzonese a cui sono collegate 23mila famiglie sarebbe ugualmente garantito». Sulla questione della plastica riciclata o bruciata, il direttore dell’Acr chiarisce: «Noi siamo dei tecnici che eseguono le scelte politiche. Quanto ci viene chiesto, noi cerchiamo di realizzarlo al meglio». La risposta alla domanda se bruciare la plastica o incentivarne il riciclo, è dunque una scelta politica, più che tecnica.

Pet, il riciclo finanziato
Nel suo studio Kurve, l’Ufficio federale dell’ambiente sostiene che il riciclo della plastica delle economie domestiche è antieconomico perché è difficile separare le varie tipologie di plastiche per riciclarle al meglio. A sostegno della sua tesi, porta l’esempio positivo del Pet, la cui raccolta separata è facile e dunque economicamente conveniente al fine del riciclo. Il tasso elvetico del riciclo del Pet si situa oltre l’80%.
L’Ufficio federale omette però di dire una cosa, determinante nella questione. Il cittadino, molto probabilmente ignaro, quando compra una bottiglia di Pet, paga già il suo riciclo. «Nel prezzo di vendita di una bottiglia per bevande in Pet è compreso un contributo di riciclaggio anticipato (Cra) di 1,8 centesimi, con il quale si finanzia la reimmissione degli imballaggi per bevande in Pet nel circuito economico-produttivo. I proventi che ne derivano vengono utilizzati per la raccolta, lo smistamento, il trasporto, l’amministrazione/i contenitori per la raccolta e la comunicazione» si legge sul sito di SwissRecycling.


Il successo del riciclo del Pet è dunque dovuto al finanziamento dell’intero sistema da parte del consumatore, per un prezzo irrisorio. Un successo che potrebbe essere ancora maggiore, se altri prodotti simili fossero compresi dalla tassazione preventiva. Ad esempio, le bottiglie di olio commestibile di plastica sono nella stragrande maggioranza identiche al Pet. Se fate caso però, sul contenitore vi è l’indicazione di gettarlo nella pattumiera classica. Non perché non siano riciclabili col Pet, ma perché non sono sottoposti alla tassazione di riciclaggio preventiva.
Un’altra leggenda occorre sfatare sul Pet. Si sostiene che sia possibile perché è un solo tipo di plastica. In parte è certamente vero, ma insieme alla bottiglia, si butta via il tappo, l’etichetta e la colla su cui è attaccata. Insomma, il Pet raccolto, pur non essendo propriamente “pulito”, viene ugualmente riciclato in gran misura.

Agire a monte,sulla produzione
Su una cosa gli esperti sono concordi. Per quanto lo sviluppo scientifico progredirà, non sarà mai possibile riciclare l’intera massa di plastica in circolazione.


Questo ci porta al secondo importante interrogativo sulla questione: l’intervento a monte, ossia costringere i produttori a ridurre la produzione della plastica. Chi dice plastica, dice petrolio. A livello mondiale, i grandi produttori sono i medesimi. Si tratta di potenti gruppi privati dalle enormi disponibilità finanziarie, in grado d’influenzare le decisioni politiche attraverso attività di lobbismo. Fin dagli albori delle prime prese di coscienza dell’inquinamento ambientale causato dalla plastica, l’industria del petrolio ha combattuto contro qualsiasi iniziativa legislativa volta a limitarne l’uso, manifestatasi nei vari Paesi del mondo.


Oggi il vento sta forse cambiando. L’inquinamento da plastica è talmente elevato che non è più possibile minimizzarlo, sia a livello globale che nella piccola Svizzera. Uno studio del Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca (Empa) pubblicato lo scorso luglio, ha calcolato che ogni anno sul suolo svizzero si depositano circa 4.400 tonnellate di macroplastiche. Altre 100 tonnellate di macroplastiche finiscono nelle acque. Per quanto concerne le microplastiche invece, 600 tonnellate finiscono sul suolo e poco meno di 15 tonnellate nelle acque. Se non si fermerà la crescente massa di plastica prodotta, le conseguenze saranno inevitabili.

Pubblicato il 

10.10.19
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