Quali condizioni per la pace in Palestina

Ho l'impressione che con la nuova presidenza palestinese le chances per una svolta pacifica nella regione siano, anche se molto debolmente, migliorate. Non ci si può che rallegrare. Ma quale deve essere il motore di un processo di vera pacificazione? Gli ultimi sviluppi della questione palestinese ci dovrebbero far riflettere su una condizione di base di ogni tentativo di uscire dalla risoluzione violenta dei conflitti verso un loro superamento che rinuncia alla distruzione cruenta dell'avversario. Si potrebbe innanzitutto pensare che i progressi sulla via della pace siano dovuti all'avvicinamento nella considerazione degli interessi propri e di quelli della parte avversaria. Certo una presa di distanza che permetta di vedere la propria parte con la stessa prospettiva con cui si guarda alla parte avversa può aiutare ad accettare processi di riavvicinamento. Mi sembra comunque decisivo il fatto che non si possa avanzare realmente su un percorso di pace se non si fa interiormente una specie di "scommessa" sul futuro. Chi non è disposto a "rischiare", cioè a dare fiducia all'avversario contro ogni razionale speranza, non sarà disposto a fare unilateralmente un primo passo. Ho l'impressione, e spero di non sbagliarmi, che nell'area medioorientale si stia comprendendo che non si possa continuare con il registro della "botta e risposta" della violenza reciproca, ma che vadano introdotti processi di fiducia senza avere la sicurezza che la parte avversa onori questo primo sforzo. Il presidente palestinese ha preso su di sè rischi notevoli: le milizie islamiste hanno fatto solo una semipromessa di cessare il fuoco ed Israele non ha preso impegni precisi. Ciononostante egli ha dispiegato truppe palestinesi sulla frontiera per garantire anche la sicurezza delle colonie dello Stato di Israele. C'è solo da sperare che questo sforzo sia onorato. Anche altri conflitti nel mondo contemporaneo hanno potuto trovare un superamento, anche se imperfetto, quando uomini e donne coraggiosi hanno fatto un primo passo, senza avere la sicurezza che l'avversario faccia altrettanto. Quando tali atti di coraggio avvengono, anche il lavoro di mediazione intrapreso da organismi esterni al conflitto, come ad esempio quello dell'Europa nel conflitto israelo-palestinese, aumenta in efficacia e qualità. Gli Stati Uniti hanno invece giocato, almeno fino ad oggi, solo la carta della pressione unilaterale, pensando che "mostrando i muscoli" la parte militarmente più debole, cioè l'Autorità palestinese, avrebbe ceduto alle pressioni. Errore madornale, poichè non fa i conti con il senso dell'onore così radicato nella cultura medioorientale. Quando invece il senso del proprio valore viene onorato anche dall'esterno mediante atti di riconoscimento pubblico, anche la volontà unilaterale di passi di pace diventa possibile. Solo chi non è umiliato è capace di tendere per primo la mano riconciliatrice

Pubblicato il

28.01.2005 13:00
Alberto Bondolfi
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