Quando Swissair rimase a terra

Due ore e 20 di ottimo, intensissimo cinema. Due ore e 20 per raccontare la fine di un mito svizzero e i drammi umani che al di là della cronaca vi si sono prodotti. “Grounding”, il film sul tracollo di Swissair, ha tutto per diventare un campione d’incassi: e infatti nel primo week-end di programmazione ha già fatto registrare oltre 50 mila spettatori nelle 50 sale in cui è attualmente in distribuzione nella Svizzera tedesca, con incassi superiori a quelli che nel primo fine settimana di proiezione nel nostro paese fece registrare a suo tempo “Titanic” di James Cameron. È decisamente un gran bel film “Grounding”, diretto da Michael Steiner, astro nascente del cinema svizzero (è lui anche il regista di “Mein Name ist Eugen”, campione d’incassi 2005, appena nominato miglior film svizzero dell’anno e attualmente in programmazione in Ticino). Ma più che il lavoro del regista (che pure il suo mestiere lo sa fare) in “Grounding”, film che senza problemi regge il confronto con i migliori prodotti made in Usa, conta quello del produttore, Peter-Christian Fueter. Egli dall’idea iniziale all’uscita nelle sale ha gestito in prima persona e con determinazione il film, scegliendo le persone giuste ad attuare il concetto che lui aveva ben chiaro in mente. In questo “Grounding” è un “film di produttore” più che un film d’autore, ma la cosa di per sé non disturba affatto, anzi: se gli esiti sono questi, ben vengano i produttori coraggiosi, determinati e con le idee in chiaro. Il materiale di base per raccontare la fine ingloriosa di Swissair è fornito da due libri: “Der Fall der Swissair” di René Luchinger, che ricostruisce la vicenda nei suoi aspetti economici e politici, e “Blackbox” di Anton Moos, che dal canto suo ha descritto i destini delle persone direttamente toccate dal fallimento della compagnia di bandiera svizzera, in particolare i suoi dipendenti. Ed è su questi binari che si dipana anche il racconto di “Grounding”. Da un lato c’è la ricostruzione (minuziosa, dettagliata e rigorosa) degli eventi che portarono, il 2 ottobre 2001, gli aerei Swissair a rimanere incollati a terra, raccontata nei modi di un thriller economico-finanziario all’interno delle stanze del potere: gli uffici della direzione a Kloten, quelli di Marcel Ospel all’Ubs e Lukas Mühlemann al Credit Suisse, quelli di Palazzo federale e così via. Dall’altra ci sono i destini di alcune persone comuni che le conseguenze di quel tracollo le hanno direttamente sentite sulla loro pelle: la hostess che sta cercando di avere una relazione stabile con un copilota per avere un futuro sereno per sé e suo figlio, l’anziano immigrato italiano che da una vita lavora al catering e che in Swissair si identifica fino in fondo mentre il figlio sta facendo carriera all’Ubs, l’ex meccanico di volo ora costretto a lavorare a terra e così via. I due piani corrono paralleli e s’intersecano completandosi l’un l’altro: da un lato la vicenda economico-politica mette bene in risalto il cinismo dei padroni del vapore della finanza d’assalto e, di fronte a loro, l’impotenza della politica e di chi qualche obiettivo al di là della massimizzazione dei profitti ancora ce l’ha; dall’altro le storie private permettono un forte coinvolgimento emotivo dello spettatore, in un misto di commozione e rabbia. Il tutto è raccontato da attori che interpretano i personaggi reali, credibilissimi anche per una notevole somiglianza con gli originali, intercalati da una gran quantità di materiali autentici (soprattutto estratti da trasmissioni televisive d’attualità e filmati d’archivio). Protagonista del film, e suo eroe positivo, è Mario Corti, l’ex manager di Nestlé che nel 2001, dopo il defenestramento di Philippe Bruggisser e il breve interregno del patron di Crossair Moritz Suter, tentò disperatamente di salvare Swissair malgrado la contabilità truccata lasciatagli dai predecessori, le lotte di potere fra le grandi banche, l’11 settembre e il disinteresse dei politici. Diversi i suoi antagonisti, sui quali alla fine emerge Marcel Ospel, Ceo di Ubs e, secondo la tesi del film, responsabile principale col suo cinismo del grounding del 2 ottobre 2001 e quindi del fallimento di Swissair. Agli autori del film è stato rimproverato di non aver menzionato che per il suo lavoro Corti ha guadagnato la bellezza di 12 milioni di franchi; molti inoltre hanno espresso riserve sulle sue reali competenze nel settore dell’aviazione e lo rimproverano di essere rimasto troppo solo ai vertici di Swissair. Ma un film ha bisogno anche di un eroe, e come tutti gli eroi anche il Corti di “Grounding” deve apparire senza macchia e senza paura. Così è, e per un film di finzione, per quanto fortemente aderente alla realtà, può anche andar bene, tanto più che per due ore e 20 lo spettatore è bombardato da una raffica impressionante di informazioni. La confezione del film, realizzato con metodi quasi da major americana (tranne per il budget: 4 milioni sono tanti da noi, ma negli Usa fanno ridere) è impeccabile. Realizzato sulla base di una sceneggiatura di rara qualità per il cinema svizzero (ci hanno lavorato in cinque), girato con un gusto estetico molto giovane e fresco, con la camera che spesso “spia” quasi di nascosto i protagonisti dentro le stanze del potere, “Grounding” raggiunge vette altissime per il montaggio e la recitazione. Il primo è opera di quattro montatori che hanno fatto un lavoro straordinario in pochissimo tempo, dando fin dall’inizio al film un ritmo sostenutissimo e garantendo la perfetta amalgama fra materiali documentari e fiction, fra racconto pubblico e storie private. Quanto alla recitazione, è merito in particolare di alcuni attori di teatro prestati al cinema, su tutti uno straordinario Hanspeter Müller nei panni di Corti, ma bravissimi sono anche Gilles Tschudi (Ospel), Rainer Guldener (Mühlemann) e Katharina von Bock (nella parte della consulente finanziaria di Corti Jacqualyn Fouse). “Grounding” è un film coinvolgente e coraggioso sia dal punto di vista produttivo che da quello dei contenuti, per la tesi che senza cedimenti sostiene. È il racconto del crollo di uno dei nostri miti e della fine di un’epoca (un po’ come lo è “Jfk” di Oliver Stone per gli Usa, ma anche lo stesso “Titanic”) per l’imperizia di alcuni (in particolare la classe politica, ma anche non pochi manager) e il cieco cinismo di altri. Fra questi un Christoph Blocher che affossò nel 1992 lo Spazio economico europeo dicendo che Swissair non ne avrebbe avuto bisogno, o un Moritz Suter, celebrato eroe dell’aviazione svizzera che in realtà ha sempre pensato soltanto ai suoi interessi e al suo ego, o appunto un Ospel, che fra i suoi meriti annovera l’aver portato al fallimento Swissair e alla disperazione migliaia di persone e che oggi continua ad ingrassare al ritmo di oltre 20 milioni di guadagno all’anno. È un film da vedere assolutamente. Sarà in Ticino (con i sottotitoli in italiano) dalla fine di febbraio.

Pubblicato il

27.01.2006 03:30
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