Quando diventare mamma ti obbliga a rinunciare al lavoro

Aumenta il numero di donne che al termine del congedo maternità non trova più un'occupazione

Essere donna e lavoratrice è spesso ancora un percorso ad ostacoli, se poi a questo si aggiunge il diventar madri, i giochi si complicano ulteriormente, lo conferma pure l’Ufficio federale di statistica in uno studio del 2016.

Sono sempre di più i casi segnalati agli uffici per le pari opportunità di donne che han dovuto lasciare il lavoro a causa della maternità, un fenomeno che tocca tutta la Svizzera e tutti i settori.
Le statistiche dicono che nel 2015, circa quattro madri su cinque erano professionalmente attive in Svizzera, di queste, quattro quinti lavoravano a tempo parziale. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (Ufs), il nostro paese ha conosciuto un aumento importante delle lavoratrici nel corso degli ultimi 25 anni e oggi la presenza delle donne sul mercato del lavoro è una delle più alte a livello europeo, anche se la discriminazione sessuale è ancora ben radicata, infatti: non solo le donne faticano maggiormente a trovare un lavoro e ricevono salari inferiori, ma spesso quando trovano un’occupazione devono accontentarsi di lavoretti con percentuali troppo basse, impieghi precari e contratti atipici.


La maternità sembra essere un’ulteriore “aggravante” e conduce a cambiamenti professionali importanti. Se solo una madre su sette abbandona il mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio, la nascita del primo bambino va di pari passo con una forte riduzione della percentuale lavorativa, che torna ad aumentare nuovamente man mano che i figli crescono. Anche chi aveva lasciato il lavoro dopo la maternità tende a riprendere progressivamente un’attività lavorativa una volta che i bambini entrano nel sistema scolastico. Tuttavia, indipendentemente dall’età dei figli, la partecipazione delle madri al mercato del lavoro resta inferiore a quella delle donne senza figli. Giusto per inciso: secondo i dati dell’Ufs, l’arrivo di un figlio non implica nessuna modifica significativa della situazione professionale dei padri.


Un quinto delle madri non esercita alcuna attività professionale, una decisione a prima vista volontaria, visto che non risultano in cerca d’impiego, tuttavia, più della metà di loro si dice pronta a lavorare nel caso si presenti un’occasione interessante e un sesto è addirittura pronta a iniziare un’attività a breve termine. Tra le donne che avevano lasciato il lavoro e che lo riprendono dopo una pausa di circa cinque anni, il tasso d’occupazione è sensibilmente inferiore a quello di chi è rimasta attiva professionalmente.


In Svizzera, il tasso di donne attive professionalmente è tra i più alti d’Europa (82,2%, preceduta solo dalla Svezia con l’83,3%), ma quello delle madri scende al 70,2% per chi ha un figlio con meno di sei anni (in undicesima posizione) e è del 77,5% per chi ha figli tra i 6 e gli 11 anni (tredicesima posizione). In Svizzera come nell’Ue, con l’aumentare del numero dei figli il tasso di donne professionalmente attive diminuisce e, dopo i Paesi Bassi, questo è il paese con la percentuale più alta di donne che lavorano a tempo parziale.
Questi i dati pubblicati dall’Ufs nel 2016. Lo scorso novembre, su Le Temps sono state raccolte una serie di testimonianze di madri che sono state licenziate al termine del loro congedo maternità (durante il quale la legge vieta al datore di lavoro di licenziare). Lavoratrici tra i 20 e i 40 anni che hanno visto svanire la loro carriera perché hanno deciso di diventare madri. In realtà però, le donne vengono discriminate ancor prima di restare incinte, quando nei colloqui d’assunzione si sentono fare domande sulla loro intenzione di avere figli o no e sulla eventuale tempistica (come se si potesse prevedere con certezza): qualche uomo si è già sentito chiedere se ha intenzione di diventare padre nei prossimi cinque anni?
Una volta annunciata la propria gravidanza al datore di lavoro e ai colleghi, quante donne si sono sentite chiedere se avessero intenzione di lasciare il lavoro o ridurre la percentuale? Non risulta che sia prassi chiederlo ai futuri papà, i quali si dà per scontato che continueranno a lavorare esattamente come prima. Secondo le testimonianze raccolte da area e da Le Temps, invece sembra si dia quasi per scontato che dopo la maternità una lavoratrice non sia più in grado di lavorare come prima e, purtroppo, a volte non le viene neppure concessa l’opportunità di dimostrare il contrario.


Se i casi di licenziamenti abusivi a causa di una gravidanza o subito dopo il congedo maternità possono essere più facilmente dimostrabili e contestabili (anche se succede spesso che le donne non li denunciano neppure, credendo di essere nel torto, come conferma a Le Temps Anouchka Chardonnens, giurista all’Ufficio delle pari opportunità di Friburgo), sono frequenti anche casi più subdoli in cui la lavoratrice è spinta a licenziarsi. Questo può succedere perché non le viene concesso un tempo parziale che le permetta di conciliare vita lavorativa e familiare (vedi articolo sotto), oppure a causa di una pressione psicologica data da un ambiente lavorativo deteriorato rispetto a prima della gravidanza (mancato riconoscimento del lavoro svolto, declassamento ad attività lavorative meno gratificanti rispetto a prima...). Anche la pressione sociale può giocare un ruolo in questo, ad esempio quando una madre si sente ripetere che sarebbe meglio per il bambino se lei stesse a casa ad occuparsene piuttosto che affidare questo compito ad altri.


«La discriminazione fondata sul sesso e sulla maternità è vietata dalla legge», ci dice Katja Signer, del dipartimento Comunicazione e Campagne di Unia, «non esiste però un diritto a lavorare a tempo parziale, ciò che rende la cosa piuttosto difficile. La Legge sulle pari opportunità potrebbe comunque permettere di farsi valere nei casi di licenziamento subito dopo un congedo maternità o se il lavoro a tempo parziale è concesso ad altri e non alle madri. È ingiusto che non si creino le condizioni che permettano di conciliare la crescita e l’educazione dei figli con l’attività lavorativa – prosegue Signer –. I sindacati devono riconoscere il problema e attivarsi: da un lato a livello individuale, dall’altro a livello politico. Occorre promuovere una protezione contro il licenziamento per le madri di almeno un anno e, parallelamente, il diritto a una riduzione temporanea del tempo di lavoro remunerato (diritto al lavoro a tempo parziale). Già durante la gravidanza le donne dovrebbero negoziare le condizioni per il loro rientro dopo il congedo maternità, ma alla presenza di un comitato, con un delegato del personale. Le madri svolgono dei compiti importanti, dovrebbero quindi beneficiare di una protezione speciale e meritano riconoscenza», conclude la portavoce di Unia.

Pubblicato il

08.02.2017 20:42
Veronica Galster
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