Perché due poliziotti avrebbero dovuto picchiare gratuitamente un semplice venditore di rose? È la domanda che potrebbe porsi, legittimamente, una scettica cittadina leggendo la storia. Perché un prete abusa di un ragazzino? O un marito picchia la moglie? Far chiarezza sui motivi che spingono degli esseri umani a compiere atti indegni, aiuterebbe forse a comprenderne le ragioni, ma non a giustificarle. Questo almeno in una società civile.


Quel che più indigna in questa storia, non è tanto l’eventuale agire dei due singoli poliziotti per quanto ignobile, ma i pesanti sospetti sui comportamenti dei loro superiori e dalla Magistratura durante le inchieste. Rimanendo ai fatti, l’ambulante ha identificato un agente risultato effettivamente in servizio a quell’ora, la cui autopattuglia era posteggiata nel luogo dove sarebbe avvenuto il reato, nonostante gli agenti avessero sempre negato di essere stati in quel posto a quell’ora. Di recente, è stato confermato che in stazione qualcuno quella mattina ha cambiato 140 euro, l’esatto importo verbalizzato in tempi non sospetti dalla presunta vittima. Perché l’ambulante avrebbe dovuto inventarsi tutto? Come avrebbe potuto la sua fantasia, produrre fatti poi riscontrati? Il Comando della polizia cittadina ha fornito solo parte della geolocalizzazione dell’autopattuglia, dalle 8.30 invece che dalle 7. Perché non far luce sulla vicenda, collaborando integralmente, fornendo invece solo quei dati monchi a sostegno della versione degli agenti? Nuovamente richiesti a distanza di anni, quei dati integrali sarebbero ormai stati cancellati. «Lei comprende che tali incongruenze sono foriere di inevitabili dubbi e sospetti (dati cancellati? Se sì da chi e per quali motivi?)» scrisse l’allora procuratore Perugini al Comandante della Polizia comunale nel dicembre 2017. Sospetti ancora oggi mai dissipati.  


Perché il Pg Noseda ha assolto una prima volta gli agenti senza nemmeno interrogarli o senza pretendere i dati integrali della geolocalizzazione? Perché il secondo procuratore generale incaricato del caso, Antonio Perugini, fonda l’assoluzione degli agenti sulla «certezza» dell’orario indicato dalla presunta vittima, quando invece quest’ultima a verbale ha detto: «Verso le nove»? Sono tante, troppe, le domande che fanno planare pesanti sospetti sulla reale volontà del Corpo di polizia e della Procura di far chiarezza. Dei sospetti di complicità istituzionale nel proteggere degli agenti che avrebbero picchiato brutalmente una persona inerme, la cui sola colpa era di aver venduto più volte delle rose abusivamente. Sospetti che gettano pesanti ombre sull’intero Corpo e la Magistratura, minando il rapporto di fiducia nei cittadini. In attesa del terzo atto, nell’auspicio che ogni dubbio venga dissipato.

Pubblicato il 

03.06.20

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