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Si è detto che i virus, in qualche modo, sono democratici, colpiscono in maniera indifferenziata, senza fare distinzioni tra status sociale, origini culturali e di provenienza. C’è un popolo di invisibili, tuttavia, che sembra essere colpito più duramente di altri dall’attuale emergenza pandemica e rispetto al quale questo carattere di asserita democraticità dei virus non ha svolto alcun ruolo: questo popolo invisibile è quello dei migranti.

 

Invisibile perché, di fronte ai rischi di repressione e di espulsione, tende a mettere le esigenze di tutela della salute in secondo piano, aumentando così il rischio di contagio personale e di diffusione in generale del virus. Ma i migranti sono un popolo di invisibili anche perché, nel marasma provocato dalla pandemia, la loro condizione esistenziale è passata in secondo piano, complice la chiusura delle frontiere e i maggiori controlli sulle tradizionali rotte migratorie. Certo, recentemente è balzato agli onori della cronaca, per la drammaticità della situazione da anni denunciata dalle organizzazioni umanitarie internazionali, la situazione del campo profughi di Moira, sull’isola greca di Lesbo, distrutto il 9 settembre scorso da un devastante incendio che ha compromesso l’80% della struttura e ha lasciato sulla strada 12.000 migranti, tra i quali diverse decine affetti da Covid-19.

 

Ma vi è un altro Paese, di cui si parlava poco già prima dell’attuale pandemia, da cinque anni coinvolto in una guerra violenta, la cui condizione dei profughi e migranti ha raggiunto livelli altissimi di drammaticità, lo Yemen. Il conflitto interno è cominciato nel marzo 2015 e vede contrapposti, da un lato, gli huti, un movimento religioso e politico sciita che aveva appoggiato l’ex presidente Saleh, destituito e ucciso nel dicembre 2018 e, dall’altro, le forze del Presidente Mansur, rovesciato dagli huti con un colpo di Stato nel gennaio 2015. Qui il Covid-19 non ha fermato la guerra, i massacri continuano e, come sempre accade, i più colpiti sono anche i più inermi a reagire: bambini, donne, persone vulnerabili, popolazione civile e migranti. Forse non tutti sanno che lo Yemen è un Paese chiave nella rotta migratoria via mare – Golfo di Aden – tra gli Stati dell’Africa orientale e i Paesi del Golfo. Nel 2018 gli sbarchi in questo Paese martoriato dalla guerra e dalla carestia, hanno superato quota 150.000, più di quanti ne sono arrivati in Europa nello stesso periodo. Etiopi, somali, eritrei, in fuga da guerra, persecuzioni e fame, sbarcano in Yemen con la speranza di raggiungere i Paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa. Ma quest’anno, complice anche il coronavirus, il viaggio della speranza si è interrotto in questo disastrato Paese del Golfo. Sono circa 15.000 i profughi bloccati nello Yemen senza cibo, acqua potabile, maltrattati e picchiati e ora additati e cacciati come untori del coronavirus. L’invisibile si è palesato e ha il volto della paura.

Pubblicato il 

24.09.20

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