“Resistere, siamo nel giusto”

Mario Bertana si affaccia al leggio piazzato sotto un gazebo verde, al riparo da una pioggia che ha smesso di cadere da qualche ora. Sono da poco passate le 17 e l’oscurità ha già avvolto la capitale. Piazza Governo, tappezzata di striscioni e cartelli, è straripante. Davanti a lui ci sono fra le 12 e le 15 mila persone. La maggior parte di loro è partita poco più di un’ora prima dall’Espocentro (il resto, soprattutto studenti e docenti, si è aggregato cammin facendo) formando un corteo che ha sfilato davanti alle officine Ffs e alla stazione ferroviaria, poi giù per il Viale, e attraverso le viuzze del centro storico fino alla piazza antistante il Palazzo delle Orsoline, sede del Governo. Mario Bertana, 45enne frontaliere varesino, è lì a parlare a nome di «noi che ci alziamo presto al mattino, arriviamo tardi e stanchi la sera, paghiamo puntualmente le tasse, i contributi, l’affitto, la rata dell’automobile e che a fatica riusciamo a sbarcare il lunario». Come altri frontalieri e stranieri che lavorano e pagano le imposte in Ticino, anche Mario Bertana ha deciso di gridare in piazza a Bellinzona un dissenso che non può esprimere con il voto: «Stiamo assistendo negli ultimi anni a un degrado delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori, sia nel privato che nel pubblico impiego – dice –. E non solo riguardo al salario, ma anche per la precarietà e la incertezza del posto di lavoro, per le pressioni che si subiscono». «Per molte persone – prosegue – diviene sempre più difficile arrivare a fine mese; il taglio dei sussidi, l’aumento dei premi delle casse malati e del rischio della cassa pensione, penalizzano la qualità di vita di un numero crescente di persone, colpendo maggiormente chi è già in difficoltà». Le parole di Mario Bertana risuonano quando il corteo in difesa della socialità, della scuola, dei servizi pubblici e dell’occupazione si è già trasformato in una folla immobile, con più di ventimila occhi puntati verso gli oratori invitati ad esprimersi da un eterogeneo comitato composto di una trentina di sindacati, associazioni, enti e gruppi. Bellinzona stava vivendo l’ultimo atto dell’autunno “caldo” ticinese, inaugurato con la manifestazione del 19 ottobre per il reintegro di Patrizia Pesenti nel Dipartimento sanità e socialità e proseguito il 12 novembre con la protesta di 5 mila docenti, allievi e genitori contro le misure di risparmio sulla scuola pubblica contemplate dal preventivo 2004. A Bellinzona questo robusto frontaliere dalla faccia rotonda, dai baffi radi e dagli occhi vispi era arrivato in tarda mattinata. Aveva attraversato il valico del Gaggiolo come fa di solito, ma invece di fermarsi a Lugano dove lavora come magazziniere in una ditta di pavimentazioni stradali, aveva proseguito fino alla capitale. «Lavoro in Svizzera dall’85 e da allora mi sono sempre interessato alla realtà ticinese. Mi piace capire la situazione del luogo dove lavoro: cerco di portare di qua il buono che c’è di là e viceversa» racconta seduto in un caffè del centro definendosi «una persona come tante altre, con dei problemi che sono gli stessi in Ticino e in Lombardia». Quarantacinque anni, sposato con due figlie adolescenti, Mario Bertana è capogruppo consigliare per il centro-sinistra nel suo Comune di Induno Olona e vicepresidente del Comitato sottocenerino del Sindacato edilizia e industria (Sei). Ha ponderato durante giorni la scelta di parlare per la prima volta davanti a un pubblico così folto – e per di più in Svizzera –, ma poi ha optato per la forza della testimonianza, consegnata in un breve testo scritto domenica mattina: «Non so come la prenderà la mia ditta, anche se ormai mi conoscono – dice a poche ore dalla partenza del corteo. – In certi momenti bisogna saper rischiare per difendere i nostri diritti». Mario Bertana vuol così dimostrare ai suoi colleghi «che non dobbiamo aver paura di difendere i nostri diritti» e che «anche noi frontalieri possiamo dare qualcosa: la nostra testimonianza». Poco dopo mezzogiorno l’occasione di ribadire l’urgenza della testimonianza si presenta al palazzetto dell’Espocentro. Mario Bertana scambia due chiacchiere con alcuni fra i mille e rotti colleghi che incrocia durante il pranzo offerto dai sindacati Sei e Flmo in attesa della partenza del corteo. Uno di loro, un giovane frontaliere impiegato in un’altra ditta di pavimentazione stradale del Luganese, gli dice di essere l’unico della sua impresa ad essersi recato a Bellinzona; un altro condivide con lui la preoccupazione per l’aumento a 67 anni dell’età di pensionamento che rischia di compromettere la conquista ottenuta dagli edili lo scorso anno. Mario ascolta, discute, chiacchiera del più e del meno e poi spiega perché è importante che anche i lavoratori del settore privato si facciano sentire in una protesta che è soprattutto contro i tagli nel pubblico: «Noi siamo solidali – dice –. Capiamo le loro preoccupazioni perché siamo passati dalla stessa situazione. Gli impiegati pubblici erano perlopiù assenti quando noi lottavamo, ma ora è importante far capire che la lotta va fatta assieme». Mentre Mario Bertana discute con i colleghi all’Espocentro, Gianni Frizzo ha appena terminato di redigere il testo che leggerà davanti all’entrata sud delle officine dove il corteo è atteso fra poco più di un’ora. Ha faticato non poco per far capire ai colleghi che è necessario scendere in piazza: «Ho detto loro: “Che t’importa se sono di sinistra o di destra: questi sono problemi di tutti”» racconta in una saletta dell’edificio amministrativo delle officine Ffs mentre percorre con gli occhi il testo con il quale vuole innanzitutto far passare «un segnale tangibile d’unità, di fronte a questo attacco antisociale inflitto nei confronti di tutti noi indistintamente». «Chi oggi non è presente perché crede ancora di essere immune a questa logica perversa, commette un grossolano errore» dice il presidente della sezione Sev Rm-Ticino leggendo il testo preparato in fretta e furia durante la pausa di mezzogiorno. Mentre spiove, a poco più di un chilometro di distanza il corteo si sta formando sul piazzale della Scuola cantonale di commercio. Dietro lo striscione di testa sorretto dai dirigenti sindacali, una folla che in un primo tempo appare meno numerosa di quanto ci si aspettasse prende posto, innalza striscioni (“No pasaran”, “Taglia sull’educazione apri la strada alla stupidità”, “Blocher il pifferaio magico di Hamelin”) e bandiere sindacali, intona slogan (“Lotta dura, senza paura”) e canzoni. Poi si incammina lentamente verso Piazza Governo. Lì, fra altri striscioni e slogan ostili a Marina Masoni e alla politica finanziaria del Cantone, Mario Bertana è il primo a prendere la parola. Chiama a soccorso la storia di cui è appassionato: «Duemilaquattrocento anni fa, nell’antica Grecia, Pericle sosteneva: “il nostro governo favorisce i molti invece che i pochi, per questo è detto democrazia”. Credo che dovremmo riflettere con attenzione su queste parole». Invita a «resistere alla provocazione a cui siamo sottoposti, resistere per la difesa dei nostri diritti acquisiti». «Resistere perché siamo nel giusto» dice. Diversi negli accenti, ma i commenti di chi era a Bellinzona, in mezzo al lunghissimo fiume umano in piena, è quello di chi sta partecipando ad un momento importante della coesione sociale del Ticino. Sindacati, associazioni, casalinghe e lavoratori di tutti i settori e di diversi partiti rimbombano in un unico coro: “no ai tagli!”. Fra quelli che sfilano alla testa del corteo anche Saverio Lurati, segretario Sei Ticino e Moesa: «Questa manifestazione – dice – segna un punto di svolta nella storia delle proteste. Per la prima volta i lavoratori del pubblico e del privato, i cittadini comuni sono qui fianco a fianco. Segno che tutti sono consapevoli che ci troviamo in un momento difficile e che è necessario unirsi per battersi contro chi sta cercando di toglierci anche il minimo vitale. Come Sei Ticino, continueremo a lanciare il segnale che di fronte ai soprusi in questo Paese bisogna mobilitarsi più di quanto non sia stato fatto negli ultimi 40 anni. Questa manifestazione sarà solo l’inizio. Il Sei infatti proporrà a livello nazionale una giornata di sciopero generale prima della votazione del maggio 2004 sulla 11.ma revisione dell’Avs e sugli sgravi fiscali della Confederazione». In mezzo al frastuono di voci, fischietti, sirene, anche Raoul Ghisletta della Vpod. «È emozionante vedere maestre, impiegati, operai, studenti, docenti – dice –: una manifestazione unica. È un evento nuovo e la manifestazione, così riuscita, è sicuramente di buon auspicio anche per la prosecuzione, a livello politico, della lotta contro la politica dei tagli». «Mai vista una valanga così di gente – commenta Graziano Pestoni, della Vpod di Bellinzona –. Segno inconfutabile che noi sindacalisti avevamo ragione nel dare l’allarme, tant’è che l’invito ad esprimere il proprio dissenso è stato accolto in massa. È un segnale forte indirizzato al Governo e al Parlamento: d’ora in poi non potranno non tenerne conto». Considerazioni condivise anche da Rolando Lepori, segretario cantonale Flmo Ticino, che aggiunge: «Soliderarietà e determinazione: questi sono i tratti del volto della grande manifestazione di Bellinzona. Non si può che essere più che soddisfatti di una reazione popolare di queste dimensioni, espressione anche di quel ceto medio che Masoni millantava di voler difendere e che invece non si è lasciato abbagliare dai suoi specchietti per allodole». C’è Anna Biscossa, presidente Ps Ticino, emozionata anche lei:«Credo che questo sia il modo più importante – afferma – per dimostrare che c’è una volontà di progettare un Ticino diverso, decisamente più capace di rispondere ai bisogni dei cittadini. Questa non è una manifestazione solo di resistenza ma anche di progettualità. Mi auguro che questa imponente partecipazione venga ascoltata e che un domani ci si sieda intorno ad un tavolo, tutti insieme, con la volontà di trovare soluzioni concrete che rispondano ai bisogni di tutti i cittadini. Perché questo è ciò che il Cantone chiede e che le persone qui in Piazza affermano con forza». Avvolto dagli slogan anche il granconsigliere Ps Werner Carobbio e presidente Uss Ticino e Moesa. «Il Ticino sta dicendo con determinazione – commenta – che si oppone alla politica di questa maggioranza di Governo che prima regala ai ricchi e poi vuol far pagare a tutto il resto della popolazione il conto, tagliando sui servizi. Questa manifestazione è un’espressione forte di coesione sociale che prelude a quanto potrebbe succedere a livello nazionale se si continuerà ad adottare una politica antisociale». In fondo al corteo, festosi, quasi 500 studenti ballano e cantano. «È bellissimo. Trovo che la presenza studentesca– afferma Elena Nuzzo, studentessa liceale del Coordinamento comitati studenteschi – sia sempre quella più viva e più animata. Siamo qui in quanto veniamo toccati due volte: come studenti per i tagli nella scuola e come cittadini penalizzati da una socialità minata».

Pubblicato il

05.12.2003 02:30
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