Riaperture alla cieca

Quali luoghi di lavoro e in che misura rappresentano una fonte di contagio del Covid-19? Cosa sappiamo dell’attività professionale svolta dagli oltre 28mila positivi e dai 1.500 morti sin qui registrati in Svizzera? Tra le persone che nelle ultime settimane di parziale lockdown hanno lavorato nei supermercati, nelle aziende di trasporto, nella logistica, nella sicurezza pubblica e privata o in altri ambiti, quante si può ritenere abbiano contratto il virus svolgendo l’attività professionale? Nessuna idea, rispondono le autorità federali. «In Svizzera non si raccolgono dati di questo tipo», è stato spiegato in una delle recenti conferenze stampa degli esperti della Confederazione.

Eppure sarebbe utile avere qualcuna di queste risposte, soprattutto in vista della ripresa delle attività economiche che nelle prossime settimane rimetterà in circolazione decine di migliaia di lavoratrici e di lavoratori.


L’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) si limita a ripetere che le categorie professionali più a rischio sono quelle che lavorano negli ospedali e nelle case per anziani. Per le altre, «l’importante non è di sapere se l’infezione è stata contratta sul luogo di lavoro, ma di proteggere i soggetti vulnerabili, in particolare gli ultra 65enni». A sostegno di questa tesi l’Ufsp evoca l’alta incidenza della malattia e della mortalità soprattutto tra gli anziani (che sono dei pensionati) e il fatto che anche tra gli ospedalizzati l’età media supera i 70 anni. Ma questo non significa ancora che certi luoghi di lavoro non possano essere un centro “privilegiato” di contagio o comunque un primo anello di una pericolosa (ora dovremmo saperlo) catena di trasmissione.


Ha un bel dire il ministro della sanità Alain Berset con la sua celebre frase “bisogna agire il più rapidamente possibile, ma lentamente quanto necessario”. Come si fa a definire cosa è “necessario” e dunque a calibrare le riaperture garantendo la protezione dei lavoratori e della popolazione e impedendo una nuova ondata di contagi se non si dispone di informazioni di questo tipo?


L’uscita dal lockdown la vogliamo tutti, ma va organizzata in modo da ridurre al minimo i rischi. L’impressione è che si proceda alla cieca e che il concetto del “lavoro in sicurezza” sia ridotto a un puro slogan. O perché semplicemente non è possibile garantirlo o perché non ci sono (e non si vogliono) gli adeguati strumenti di controllo sui luoghi di lavoro.


La “lavorazione in sicurezza” è una delle più grandi bugie che i padroni raccontavano agli operai nelle fabbriche di amianto negli anni Settanta. Senza voler fare inopportuni parallelismi, questo ricordo ci inquieta.

Pubblicato il

23.04.2020 17:09
Claudio Carrer
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