Saper guardare ai movimenti

Osservati dal mio metro di altezza, i cortei dei sindacati erano colorati e rumorosi. Si cantava a squarciagola e c’era nell’aria un profumo dolce di solidarietà. Le Feste de L’Unità, poi, erano mirabolanti avventure. Noi bambini potevamo correre in libertà e ci venivano regalate magliette, palloncini e cappelli. Perfette sconosciute ci strapazzavano di coccole e gentili signori dai capelli grigi ci rimpinzavano di salsicce. Dominava il colore rosso e pochi concetti, ma chiari, erano la Bibbia dei pupi come noi. Anzitutto: genitori, nonni, zie e zii erano lì per militanza. Ci si andava insieme in nome delle lotte per la giustizia sociale. Ricordo poi – all’inizio degli anni Novanta – la tristezza di mio nonno sindacalista nell’osservare i cambiamenti epocali, l’estinzione di una certa sinistra, non si raccapezzava più, in un mondo tanto diverso da quello della sua gioventù.

 

Un mondo in cui il liberismo se la comandava in maniera esplicita. Non ero sempre d’accordo con la mia famiglia sui fatti della politica, la mia generazione è quella dei centri sociali che loro faticavano a comprendere ed erano discussioni talvolta accese.

 

Eppure, erano tempi che a ripensarci oggi quasi mi scende una lacrimuccia. C’erano capisaldi che era impossibile ignorare. Per esempio, per i diritti fondamentali si era pronti a morire e i lavoratori in lotta andavano ascoltati e protetti. C’era parecchio bianco e nero che tanti difetti aveva, e almeno due pregi: eravamo dalla parte dei vulnerabili, e il potenziale dei movimenti era sempre osservato con attenzione, perché quando una persona scende in piazza avrà pure le sue ragioni e prima di giudicarle, bisogna conoscerle. Esperienze del genere ti segnano. Forse è per questo che da cinquantenne ancora guardo ai movimenti con enorme curiosità. A maggior ragione in un’epoca di crisi.

 

Sono tempi bizzarri, in cui un cowboy della finanza come Draghi è uno statista e un colosso dell’industria come Pfizer, un benefattore. Guai a ricordare che sia il primo che il secondo, mai sono stati dalla parte dei vulnerabili: “Non sarai mica una terrapiattista?”. Vige il pensiero unico e suggerire complessità non è ben visto. Da mesi cerco invano nei media – soprattutto in quelli “progressisti” – racconti di prima mano di cosa stia avvenendo nelle piazze. Ci si limita a riprendere le dichiarazioni di governi, politici e opinionisti. Un copia e incolla senza fine in cui mancano le voci dei protagonisti. Il giornalismo finirà annoverato fra le vittime dell’era Covid. Perché oggi è su Twitter, Telegram e Substack, che trovi le immagini della recente e pesante violenza di polizia nelle strade di Parigi.

 

Non si può contare sui media neanche per capire cosa stia succedendo in Canada, dove da settimane migliaia di lavoratori sono in presidio permanente. La gran parte è vaccinata, basta guardare alle statistiche ufficiali di uno dei paesi più vaccinati del pianeta. Ma contestano l’uso del green pass, come si evince da interviste e filmati pubblicati da media indipendenti.

 

Il premier Trudeau prima si è nascosto in una località protetta, indi ha rifiutato di incontrare i camionisti e infine ha introdotto una novità che l’avesse annunciata Mosca, sai quanti corsivi indignati. Il governo si è regalato infatti il potere di congelare i conti bancari dei manifestanti, senza dover passare per una procedura giudiziaria. Assordante silenzio della sinistra sull’elefante nella stanza: siamo d’accordo che in una democrazia, un esecutivo possa punire con provvedimenti di questa portata chi ne contesti le decisioni?

Pubblicato il

17.02.2022 10:14
Serena Tinari
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