Eternit bis

Omicidio volontario plurimo aggravato. Questo il reato per cui, a partire dal 27 novembre 2020 davanti alla Corte d’Assise di Novara, sarà giudicato il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny, in relazione a 392 casi di lavoratori e cittadini di Casale Monferrato morti a causa dell’amianto lavorato nella sede locale della multinazionale Eternit, sotto il suo diretto controllo tra la metà degli anni Settanta e il 1986. Il rinvio a giudizio è stato disposto dal giudice dell’udienza preliminare (gup) di Vercelli Fabrizio Filice lo scorso 24 gennaio, nello stesso giorno in cui deflagravano le sue dichiarazioni shock rese in un’intervista alla Nzz am Sonntag del 29 dicembre che, dopo essere state riprese da area nell’edizione del 17 gennaio sono finite su tutta la stampa italiana.

 

Dichiarazioni offensive nei confronti dell’Italia e della sua giustizia, che hanno scatenato un’infinità di reazioni indignate e sono state stigmatizzate persino dal pubblico ministero durante l’ultimo dibattimento dell’udienza preliminare sfociata nel terzo rinvio a giudizio dell’industriale svizzero nell’ambito del cosiddetto processo Eternit bis. Processo, ricordiamo, di cui sono investite quattro sedi giudiziarie: Torino, dove Schmidheiny il 23 maggio 2019 è stato condannato a quattro anni di carcere per omicidio colposo aggravato per i morti della Eternit di Cavagnolo; Napoli, dove è in scorso il processo omicidio volontario in relazione alle vittime della fabbrica di Bagnoli; Reggio Emilia dove si attendono ancora le prime mosse della Procura che si occupa delle vittime della sede Eternit di Rubiera; e infine, appunto, Vercelli, che si è occupata del troncone più importante dei quattro, perché riguarda le molte vittime dello stabilimento di Casale Monferrato, la cittadina in provincia di Alessandria che ha pagato e sta pagando il prezzo più elevato: qui le polveri di amianto della fabbrica che fu di Schmidheiny hanno già causato più di 2.000 morti e ancora oggi, a più di trent’anni dalla chiusura della fabbrica, ogni settimana viene diagnosticato un nuovo caso di mesotelioma (il tipico cancro da amianto) e si celebra un funerale di una vittima dell’Eternit.


«Per i morti di Casale Monferrato si è compiuto un altro importante passo verso l’affermazione della giustizia», afferma la locale Associazione dei familiari delle vittime (Afeva) commentando la sentenza di rinvio a giudizio per omicidio volontario. Una sentenza, «che conferma e rafforza l’impegno nella battaglia che da tempo si sta conducendo per la riaffermazione della giustizia e dei diritti delle vittime di queste immani tragedie», scrive ancora l’Afeva in vista del processo in Corte d’Assise che si aprirà a Novara il 27 novembre prossimo.


Ma il sollievo per la decisione del gup, che ha confermato in pieno le richieste dei pubblici ministeri e respinto tutte le eccezioni sollevate dalla difesa di Schmidheiny, è mitigato dall’indignazione per le sprezzanti parole pronunciate nella citata intervista da Schmidheiny, che dice, tra l’altro, di sentirsi un «perseguitato» dalla giustizia italiana, di aver provato in passato «odio per gli italiani» e di considerare l’Italia uno «Stato fallito» (si veda l'articolo di area). Parole che sono state diffusamente riprese e commentate da tutti i principali giornali italiani, sui blog e sui social media e provocatoriamente rievocate all’uscita dal tribunale di Vercelli anche dai rappresentanti dell’Afeva: «Oggi siamo stati finalmente ascoltati e soprattutto abbiamo fatto vedere che non siamo un popolo di falliti. Ora inizia la vera battaglia». Scrive invece in una lettera la presidente dell’Afeva Giuliana Busto: «Questo signore che non dimostra alcuna pietà per le persone morte a causa del suo profitto e per il danno provocato a ben due generazioni di cittadini casalesi, avrebbe potuto fare un passo indietro: se dopo essersi reso conto del disastro provocato avesse deciso di bonificare la fabbrica, anziché abbandonarla con i vetri rotti e tonnellate di amianto pronte a disperdersi nell’aria, se avesse provveduto alla sostituzione delle coperture, se avesse versato denaro (che di certo non gli manca), anziché agli avvocati difensori, alle famiglie colpite da questa tragedia, agli Istituti di ricerca per le malattie rare...invece si lamenta del trattamento riservatogli! Ma non vogliamo certo abbassarci al livello delle sue affermazioni, non proviamo né odio né sentimenti di vendetta...».


In riferimento alla «pena» che Schmidheiny dice di provare nei confronti di «tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito», interviene anche Massimo Gramellini nella sua rubrica Il caffè sul Corriere della Sera: «Colpisce che un uomo capace di tanta compassione verso i poveri indigeni non ne abbia conservata neanche una briciola per gli unici che la meriterebbero: le vittime. E questo a prescindere dal fatto che alla fine Schmidheiny risulti colpevole della loro morte. Ma pensare a quelle persone, per lui forse significherebbe impazzire. O capire veramente chi è».


Infine, pure l’ex procuratore di Torino Raffaele Guariniello, già a capo del pool di magistrati che ha istruito tutta l’inchiesta Eternit, dice la sua. Interpellato dalla Stampa di Torino sulle esternazioni dello svizzero (che da lui non si è nemmeno mai fatto interrogare), afferma: «La migliore reazione dello Stato è di fare un processo giusto, dimostrare che il nostro Paese fa dei processi giusti che tengono conto delle esigenze degli imputati e delle esigenze delle vittime».

Pubblicato il 

30.01.20

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