Scuola, fra visibile e invisibile

Il 16 maggio il popolo ticinese andrà a votare anche a favore o contro i referendum lanciati contro i risparmi previsti nell’ambito della scuola dal preventivo 2004. I tagli concernono la soppressione della ginnastica correttiva, la riduzione dei sussidi ai comuni per le scuole elementari e la “famigerata” ora in più per i docenti. A due settimane dall’appuntamento alle urne, e mentre la campagna assume toni vieppiù accesi, area ha interpellato Fabio Camponovo, docente al liceo di Lugano 1 e insegnante all’Alta scuola pedagogica, per capire i motivi del “No” ai tagli sulla scuola e sulla formazione. Fabio Camponovo, è vero che avete lanciato i referendum perché volete tutelare solo i docenti? Non scherziamo! Il punto non è tutelare i docenti come vogliono far credere gli avversari dei referendum, ma salvaguardare la salute della scuola, la sua capacità di essere luogo di crescita intellettuale, culturale e sociale. La formazione è un patrimonio e un valore collettivo sempre più importante per un paese come la Svizzera, povero di risorse. È puntando sui giovani e sulla loro formazione che un paese moderno si garantisce le condizioni per uno sviluppo civile, culturale e anche economico. Non dimentichiamolo. Il referendum è stato lanciato perché vogliamo che la scuola ticinese continui a restare una buona scuola. Gli insegnanti segnalano oggi, con la responsabilità degli addetti ai lavori, la loro convinzione che le condizioni per un lavoro proficuo, a vantaggio dei nostri giovani, non sono più garantite. E la questione dell’ora in più… Un’ora in più di “niente” costa poco, un’ora in più “ben fatta” significa un investimento di tempo notevolissimo. Se oggi come segnale ad una classe insegnante, che è già confrontata con condizioni di lavoro deteriorate (si vedano gli studi ufficiali sul pessimo stato di salute psicofisica del docente) e che sopporta misure di risparmio fin dagli anni ‘90 (e non solo con l’avvento del Preventivo 2004), viene chiesto di dare di più, il risultato sarà quello di demotivare coloro che si sono sempre impegnati e hanno dato il massimo. Gli insegnanti sono lavoratori, come tutti. Fanno un lavoro però che richiede un’altissima responsabilità individuale. Un buon insegnante studia, si documenta, corregge, si aggiorna, prepara scrupolosamente le proprie lezioni, è disponibile al colloquio con lo studente senza conteggiare mai l’impegno in ore di lavoro: la motivazione, la serietà, il riconoscimento del proprio impegno sono condizioni di qualità. L’effetto di questa misura sarà inevitabilmente quello di una diluizione dell’impegno, di una minore qualità della prestazione. Peggio: sarà un segnale di mortificazione per l’insegnante. Supponiamo che le finanze del Cantone siano davvero definitivamente a terra. Come si potrebbe ridurre la spesa per la formazione? D’accordo. Supponiamo che così sia. In una situazione di crisi economica, la misura più efficace per una ripresa è l’investimento nei settori produttivi. Giusto? Ebbene la prima cosa da fare in questo caso è cominciare a capire che la scuola non è una spesa ma un investimento produttivo. Le risorse che uno Stato mette nella formazione non sono delle spese pure e semplici: avranno un ritorno nel tempo, sono appunto investimenti. Faccio notare che il Ticino, che – con scelta politica coraggiosa – offre uno spettro di formazione scolastica completo (che va dalla scuola dell’obbligo all’università alla formazione professionale superiore), è però agli ultimi posti in Svizzera per quanto concerne gli investimenti nella formazione. È un dato che è bene che i ticinesi conoscano. Abbiamo fin qui garantito una scuola di altissima qualità spendendo poco. Questa è la realtà. Oggi vogliamo peggiorare questo delicatissimo equilibrio? L’errore clamoroso poi, che basta di per sé per dire no alle decisioni di governo e parlamento, è che la decisione dei risparmi è stata presa senza mai avviare uno studio sulle conseguenze che queste misure avrebbero avuto. Nessun operatore scolastico attivo sul campo (non gli insegnanti, non gli esperti né i direttori di scuola) è stato interpellato. È qualcosa che ha dell’incredibile! In Ticino da ormai troppo tempo lo scollamento che esiste fra istituzione e corpo insegnante continua ad allargarsi e le decisioni unilaterali non sono certo d’aiuto. Perché a ridosso del 16 maggio non si è ancora parlato di scuola e formazione? È semplice, non si discute di scuola perché se si entrasse nel merito dei pregi e dei difetti della scuola ticinese la popolazione si convincerebbe che queste misure di risparmio sono l’inizio del suo smantellamento. C’è chi gira il cantone lanciando slogan fuorvianti, non c’è stato un vero dibattito. La strategia che si usa (come sempre quando non si intende approfondire argomentativamente le questioni) è quella di un confronto emotivo. Come procede la vostra campagna? Le due settimane più “calde” sono queste. Ma la campagna è iniziata con largo anticipo ed è partita con l’intenzione di chi si è opposto ai referendum (curiosa alleanza di poteri forti, di ambienti economici e di partiti maggioritari) di portare il tono del discorso sostanzialmente su aspetti emotivi, con un atteggiamento catastrofistico, quasi che il deficit statale sia dogma di fronte al quale nessuna ragione ha più motivo di essere espressa. Noi vogliamo invece parlare della scuola, per questo abbiamo organizzato delle serate informative insieme a genitori e studenti. Gli insegnanti non sono un partito e non sono una corporazione: non abbiamo altra forza che quella delle nostre idee. Passeranno i referendum? Un voto che risponda alla forza della ragione dirà che la popolazione ticinese non intende rinunciare ad una scuola di qualità. I referendum passeranno se riusciremo a far capire che queste misure di risparmio nella scuola sono illogiche e demagogiche: sono misure che incidono negativamente e realmente sulla qualità del servizio scolastico. Vinceremo se riusciremo a far capire che la logica dei risanamenti finanziari che passa attraverso un sistematico peggioramento della qualità dei servizi offerti alla collettività e un continuo peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti è una logica aberrante.

Pubblicato il

30.04.2004 02:30
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