Se la cultura è di sinistra

Molti sono i dibattiti che agitano la scena politica del resto del Paese e che fanno fatica a raggiungere la Svizzera italiana. Uno, in queste settimane, riguarda la politica culturale della Confederazione e presenta risvolti inquietanti per la libertà d’espressione. È il dibattito lanciato con toni inauditi dal capo del Dipartimento federale dell’interno Pascal Couchepin sul finanziamento del cinema svizzero da parte della Confederazione (cfr. articolo a pag. 15). L’accusa di Couchepin alla sinistra di aver colonizzato il mondo della cultura è ormai un luogo comune tardo-maccartista. Ammesso infatti che la cultura abbia un colore politico, è ancora da dimostrare che la maggioranza della cultura finanziata con soldi pubblici sia di sinistra: basti pensare al mondo dell’arte figurativa o alla musica classica e all’opera, settori cari quant’altri mai (il solo Opernhaus di Zurigo costa al Cantone ogni anno più del doppio di quanto la Confederazione investa nel cinema) e, per dirla con le parole di Couchepin, sociologicamente più legati alla destra che non alla sinistra. In secondo luogo, se è vero che molti cineasti sono di sinistra è ancora da dimostrare che essi siano la maggioranza. E anche se lo fossero, questo non significa che tutti i loro film propaghino idee di sinistra, anzi. Infine, dire che bisogna rivedere il finanziamento al cinema in quanto esso è in mano alla sinistra è come dire che bisogna ridiscutere i sussidi all’agricoltura perché la maggioranza dei contadini vota Udc: un’assurdità. Più inquietante è però il severo giudizio che sa di censura espresso da Couchepin sul film “Bienvenue en Suisse”. Secondo il consigliere federale è stato un errore finanziarlo perché è un film brutto, ridicolizza la Svizzera e lo prende in giro. A parte il fatto che se un film sia bello o brutto lo si scopre soltanto al momento della proiezione, c’è da chiedersi quanto ora si sentiranno liberi gli esperti della Confederazione nel decidere se sostenere altri film critici sul nostro Paese o che ridicolizzano un consigliere federale. I tentativi di intervenire sulla libertà d’espressione dei cineasti svizzeri non sono nuovi, con la differenza che in passato c’era almeno quale presunta giustificazione la guerra fredda. Quello di Couchepin appare invece come un intervento autoritario, nel momento stesso in cui si professa campione di liberalismo: paragonarlo a Berlusconi può non essere fuori posto. Avrebbe fatto una figura molto più bella se avesse detto di essere fiero di vivere in uno Stato che sostiene anche chi prende in giro lo Stato stesso e i suoi governanti, ricordando il motto di Voltaire “non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu possa dirlo”. Ma evidentemente non basta definirsi liberale per esserlo davvero.

Pubblicato il

27.08.2004 00:30
Gianfranco Helbling
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