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Se si agisce con coscienza

di

Martino Dotta
Ci sono questioni teoretiche che con una certa regolarità riemergono nel discorso pubblico. Trattano di problematiche di fondo, come del valore della vita, della bontà o no di un'attitudine generale, della legittimità o meno di un determinato intervento. È il caso, ormai classicissimo, dei rapporti sempre delicatissimi tra stato e chiesa, tra ente pubblico ed istituzione ecclesiastica, tra società civile e comunità spirituale, tra politica e religione. In sostanza, secondo alcune posizioni tra le due realtà ci dovrebbe essere separazione completa e quindi nessuna possibilità di confronto, intesa, influenza o ingerenza dell'uno sull'altra. Stando ad altre visioni, alle due entità è riconosciuta un'autonomia parziale o totale, poiché si muovono su terreni comuni. Altre prospettive affermano la dipendenza dell'entità terrena (politica o statale, che dir si voglia) da quella trascendentale (divina) o viceversa il diritto dello stato di legiferare anche in materia religiosa.
In Occidente, nelle relazioni tra stato e chiesa si è di norma raggiunto un sano equilibrio che consente di affrontare con correttezza e nel rispetto delle responsabilità rispettive e delle competenze specifiche i problemi d'interesse condiviso. È vero che, in una società che tende ad evacuare dallo spazio collettivo il discorso religioso, relegandolo sempre di più nel recinto privato, l'ago della bilancia tende a pendere verso una minore possibilità d'influenzare le convinzioni del corpo civile e, di conseguenza, di dettare i criteri delle scelte politiche, amministrative e giuridiche. Anche in quest'ambito, le differenze di sensibilità dottrinale o ideologica si fanno notare. Ne è stato un esempio il dibattito sull'apertura domenicale dei negozi, lo scorso anno, giustificata dagli uni con motivazioni economiche o morali (la libertà di decidere senza restrizioni), combattuta dagli altri con spiegazioni etiche, religiose, culturali o sociali (il diritto al riposo settimanale o la bontà di garantire degli spazi proprio alla famiglia).
Di recente, la problematica è stata risollevata in riferimento alle contestate leggi federali sull'asilo e sugli stranieri, contro le quali si sono schierate con determinazione anche le chiese cristiane, le principali organizzazioni religiose nazionali e le maggiori comunità confessionali (ebrei e musulmani svizzeri, si badi bene!). Il fatto che questa robusta discesa in campo comune susciti l'irritazione ed il biasimo di ambienti legati alla destra estremista, liberista e xenofoba (come il tribuno Christoph Blocher, che ha preteso di richiamare all'ordine vescovi, pastori e altri esponenti religiosi perché, a suo dire, s'immischiano troppo di politica), dimostra paradossalmente che hanno colpito nel segno. L'intervento nell'arena di chi è spinto da convinzioni religiose mi sembra non solo legittimo sul piano politico, bensì pure necessario in senso etico, sociale e culturale. Spesso si muove come un elefante in un negozio di cristalleria proprio chi vorrebbe zittire quanti desiderano pensare ed agire secondo coscienza.

Pubblicato

Venerdì 8 Settembre 2006

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