Sinistra in ordine sparso

È in programma domani a Basilea il congresso straordinario del Partito socialista svizzero (Pss). Convocato in un primo tempo per eleggere chi dovrà succedere a Christiane Brunner alla presidenza del partito, il congresso, dopo lo spostamento a destra del consiglio federale avvenuto lo scorso 10 dicembre, sarà invece soprattutto l’occasione per fare il punto sulla partecipazione dei socialisti al governo della Svizzera. Il tormentone “governo sì, no e come” è così tornato d’attualità, facendo passare in secondo piano la lotta per la presidenza cui si sono candidate due personalità dal profilo politico assai simile, Werner Marti e Hans-Jürg Fehr. Ad animare i dibattiti precongressuali sono stati dunque i numerosi documenti e le proposte di risoluzione preparati sul tema della presenza socialista in Consiglio federale. Mentre nella sinistra del Pss si sono elaborate numerose tesi che preconizzano molti modi diversi di passare all’opposizione, il gruppo dirigente del partito ha tenuto un profilo più basso che ha buone possibilità di risultare maggioritario: alla fine, par di capire, poco o nulla cambierà nel modo di stare al governo dei socialisti svizzeri. Almeno per ora. Il consigliere nazionale ticinese Franco Cavalli è fra coloro che da sinistra più hanno animato il dibattito precongressuale. In questa intervista spiega come vede le cose a poche ore dall’inizio dei lavori. Nel Pss sono stati elaborati molti documenti, c’è stato un intenso dibattito interno, ma alla vigilia del congresso l’impressione è che il partito abbia paura a prendere una posizione chiara circa la sua permanenza o meno in Consiglio federale. Franco Cavalli, condivide questa analisi? Sostanzialmente sì. Del resto anche la proposta che avevo fatto al congresso del Ps ticinese è stata rimaneggiata così da diventare molto più all’acqua di rose rispetto alle mie intenzioni. Io volevo che il Ps ticinese proponesse al congresso del Pss una risoluzione che dicesse chiaramente che in questa situazione i socialisti sono avantutto un partito d’opposizione. Certo che se non si ha nemmeno il coraggio di dire che siamo un partito d’opposizione, tutto diventa più difficile. E questo coraggio mi pare manchi al Pss come è mancato al Ps ticinese. Ora vedendo i documenti precongressuali mi pare ci sia poco spazio per portare il Pss a prendere una posizione chiara. Ci sono sì analisi interessanti, ma tutto è inserito in un quadro sfuocato, così che ognuno possa interpretarle come vuole. La sinistra del Pss arriva al congresso in ordine molto sparso. Ma fra le diverse sfumature (dal “fuori subito” dei giovani all’opposizione dall’interno degli esecutivi di Cavalli, fino al periodo di prova di due anni proposto dai ginevrini) non sarebbe stato possibile arrivare con una posizione comune che sapesse raccogliere un consenso minimamente ampio? Il piano in effetti c’era. Prevedeva che i giovani con il Giura (che poi ha fatto una parziale retromarcia) proponessero l’uscita immediata dal Consiglio federale, che Vaud proponesse una posizione più moderata e che fra queste ci fosse la risoluzione del Ps ticinese che avrebbe dovuto raccogliere alla fine tutti i consensi dell’ala sinistra. Si sarebbe proposto per subito una linea di opposizione con l’impegno a trovarci fra due anni a fare un bilancio e a decidere della nostra ulteriore partecipazione al governo. Il piano è saltato anche per come la proposta di risoluzione del Ps ticinese è uscita dal congresso di Mendrisio, al quale purtroppo non ho potuto partecipare. E allora con che obiettivo va al congresso? Al congresso cercherò di fare per lo meno un discorso chiaro e denuncerò la serie di trucchetti che, a livello centrale come in diverse sezioni cantonali, si sono fatti per annacquare il tutto e rendere il dibattito il meno chiaro possibile. Due cose in questo momento non mi piacciono. Da un lato come detto la paura di definirsi partito d’opposizione. Dall’altro la paura di prendere posizioni chiare, che non significa non fare discorsi differenziati, ma avere la capacità alla fine di un dibattito di arrivare a conclusioni nette. Come andrà a finire? Non lo so, a questo punto non mi faccio molte illusioni. Spero almeno in un bel dibattito che faccia avanzare un po’ la riflessione politica. Finora comunque il dibattito c’è stato, i socialisti svizzeri, ai vertici come alla base, hanno discusso intensamente del senso della loro partecipazione al Consiglio federale. Certamente: è molto positivo che la riflessione sia stata lanciata. Ed è stato almeno questo un merito del nostro documento. Perché però tutto questo abbia davvero un senso occorre che ci si impegni almeno a darsi una scadenza fra uno o due anni per valutare che cosa abbia dato la nostra partecipazione ad un Consiglio federale così spostato a destra. In questo contesto preferisce che alla guida del Pss vada Werner Marti o Hans-Jürg Fehr? Dal punto di vista delle posizioni politiche non ci sono grosse differenze fra di loro. Decisivo per me diventa allora il carattere delle due persone. Marti è molto più deciso, come controllore dei prezzi ha dimostrato di saper picchiare i pugni sul tavolo e da presidente non si farà prendere dal gioco dell’establishment. Fehr invece è molto più conciliante e penso che da presidente si lascerebbe facilmente integrare nel sistema. "Il tema non è la rivoluzione" Manuele Bertoli, presidente del Ps ticinese, cos’è successo con la proposta di risoluzione presentata da Franco Cavalli? Non mi pare che il testo proposto da Cavalli sia stato annacquato. L’unica cosa che è stata tolta è una frase iniziale in cui si parlava del superamento del capitalismo e così via, argomenti che non mi sembra siano centrali in questo momento per decidere della partecipazione del Pss al governo della Svizzera. Perché il problema oggi non è se fare o meno la rivoluzione, ma se stare o no in un governo che non tiene minimamente conto delle istanze del Pss. O se starci denunciando il sistema, come fa Leuenberger adesso. Che etichette ci diamo è poi del tutto secondario. Al termine di questo dibattito precongressuale non le sembra che il Pss sia un po’ troppo confuso sul da farsi? Il fatto è che la discussione si svolge su piani molto diversi. Da un lato c’è chi è pragmatico e pone la domanda del se e come stare al governo, dall’altro c’è chi invece la mette su un piano puramente ideologico, facendo un discorso che mi sembra vecchio di trent’anni. Allora cosa deve fare oggi il Pss? Siamo in Svizzera. E agli svizzeri non piacciono le liti inutili, specialmente se a litigare è chi è stato votato per cercare di risolvere i loro problemi quotidiani. Secondo me la cosa migliore che possiamo fare oggi è dire quali sono i nostri obiettivi e denunciare chiaramente quando e come il governo non tiene minimamente conto delle nostre istanze. Si tratta di rompere quel muro di omertà che è oggi la collegialità. Se poi i socialisti devono uscire dal governo, siano gli altri partiti a deciderlo: mi pare sbagliato che sia il Pss ad autoescludersi sulla base di una scelta puramente ideologica dalla quale non deriverebbe nessun vantaggio.

Pubblicato il

05.03.2004 02:30
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