Soccorso operaio, svizzero?

A quasi 70 anni dalla nascita, Soccorso operaio svizzero (Sos) cambia. Oberata da deficit milionari, l’organizzazione fondata nel 1936 dal Partito socialista svizzero (Pss) e dall’Unione sindacale svizzera (Uss) si appresta ad affrontare una riforma dalla quale uscirà profondamente rinnovata nelle strutture. Rifondazione per alcuni, inizio del tramonto per altri, il processo avviato nel 2003 e incentrato sull’autonomia degli undici uffici regionali e del settore internazionale del Sos, vivrà domani a Zurigo una tappa decisiva. L’assemblea dei delegati di Soccorso operaio deciderà infatti se dare il nullaosta definitivo a “Sos 2005”, controverso progetto di riforma che suscita non poche resistenze fra i 350 collaboratori, preoccupati anche per possibili modifiche al ribasso del futuro contratto collettivo di lavoro. Non sono tanto i licenziamenti alla centrale di Soccorso operaio svizzero (Sos) a preoccupare il Sindacato dei servizi pubblici (Vpod). La ventina di collaboratori della sede di Zurigo che in caso di approvazione della variante “Sos 2005” (si veda anche articolo sopra) resteranno a casa dovrebbero infatti beneficiare del piano sociale previsto dall’attuale Contratto collettivo di lavoro (Ccl). «Per tutti quelli che perdono il loro posto, vale il Ccl vigente. Non si discute», ha detto a fine maggio al quindicinale work il presidente di Soccorso operaio Ruedi Winkler. Il sindacato è preoccupato piuttosto per le ripercussioni regionali e più a lungo termine del processo di ristrutturazione: «La nostra grande preoccupazione è che ci saranno degli uffici regionali (Berna, Soletta e anche Sciaffusa) che non potranno sopravvivere perché a corto di soldi, perché troppo dipendenti finanziariamente dalla centrale. Lì in futuro ci potrebbero essere altri licenziamenti», dice ad area Catherine Weber, segretaria politica della sezione Organizzazioni non governative (Ong) del Sindacato svizzero dei servizi pubblici (Vpod). I licenziamenti futuri, non direttamente né immediatamente legati alla messa in atto del progetto di riforma “Sos 2005”, costituiscono il punto più controverso delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo al quale sottostanno i 350 collaboratori di Soccorso operaio. Il Ccl è entrato in vigore il 1. gennaio 1999 e scadrà alla fine dell’anno. Se non sarà disdetto da almeno una delle parti (Sos e Vpod) e almeno sei mesi prima della sua scadenza (il 30 giugno 2004), il contratto verrà rinnovato tacitamente. Sindacato e comitato centrale di Soccorso operaio si sono seduti attorno a un tavolo a inizio aprile, pochi giorni dopo che i delegati di Partito socialista svizzero e Unione sindacale svizzera – i due “padrini” del Sos – avevano avallato il progetto di riforma “Sos 2005” promosso dai vertici dell’organizzazione. Nei tre incontri sostenuti sin qui la Vpod e la Commissione del personale hanno insistito sul prolungamento dell’attuale Ccl fino al 31 dicembre 2005. Ciò garantirebbe ai collaboratori le stesse condizioni di lavoro durante la fase di transizione verso la nuova struttura. Il comitato centrale del Sos ha però voluto negoziare subito il rinnovo contrattuale, proponendo una serie di modifiche riguardanti la possibilità di concludere contratti a termine (verrebbe ampliata), il versamento del salario in caso di malattia (il 100 per cento del salario verrebbe corrisposto solo durante un anno e non più durante due come ora) e il piano sociale di cui beneficeranno i collaboratori licenziati in futuro. È in particolare su quest’ultimo punto che le parti sono in disaccordo. Se da un lato pare assodato che chi verrà licenziato a causa della riorganizzazione beneficerà del piano sociale attuale (se passa la variante “Sos 2005”, una ventina di persone solo alla centrale di Zurigo, soprattutto nei settori dell’amministrazione, della contabilità e del personale, compiti che passeranno alle future regioni), dall’altro su eventuali futuri licenziamenti la partita è tutt’altro che chiusa. Sindacato e Commissione del personale non ci stanno a giocare al ribasso. Si oppongono a una clausola proposta dalla controparte, in virtù della quale i dipendenti con meno di 3 anni di servizio licenziati a causa di nuove riforme o a causa di mancanza di fondi per dei progetti, non beneficerebbero di alcun piano sociale. «Non siamo d’accordo, non vogliamo un sistema a due classi», dice Catherine Weber ricordando fra l’altro che il personale del Sos in questi ultimi 5 anni non ha mai ricevuto un aumento salariale. Il piano sociale di chi in futuro potrebbe fare le spese del processo di riorganizzazione di Soccorso operaio sarà il punto più controverso della nuova tornata negoziale di lunedì 28 giugno, ultima possibilità per trovare una soluzione comune prima della scadenza del termine di disdetta dell’attuale Ccl: «Da lì in avanti starà al datore di lavoro decidere se dar fiducia al sindacato e alla Commissione del personale, continuando i negoziati senza disdire il Ccl, oppure disdire il contratto. Dal canto nostro, però, abbiamo già fatto notare al comitato del Sos che una disdetta del Ccl non sarebbe una buona cosa per l’immagine dell’organizzazione umanitaria dell’Uss e del Ps», conclude Catherine Weber. «Non è una novità. Sono anni che vado dicendo: “se andiamo avanti di questo passo, finisce che ci facciamo male”. Questa è la conferma». Per Renata Dozio, direttrice dell’ufficio regionale ticinese di Soccorso operaio svizzero (Sos Ticino), la riforma intrapresa nel corso del 2003 andava fatta «già una decina di anni fa», o almeno attorno al 1998 «quando anche nel settore della disoccupazione si cominciava a trasferire sempre più competenze da Berna ai Cantoni». «Non ci si è accorti per tempo – spiega Renata Dozio – che stavano cambiando i finanziamenti, i passaggi di competenze fra Confederazione e Cantoni. Vent’anni fa i progetti erano allestiti soprattutto a livello nazionale. Ora, invece, sia nell’ambito della disoccupazione che in quello dell’immigrazione gli interlocutori sono i Cantoni. La ristrutturazione è utile e importante, ma viene fatta in ritardo. Avremmo dovuto anticipare i tempi e andare già anni fa verso una maggior autonomia degli uffici regionali. Si trattava di capire che non erano più figli minorenni, che a parte alcune eccezioni stavano in piedi da soli». Ritardo o meno, il progetto di riforma incentrato su una regionalizzazione delle strutture (si veda articolo sopra) è ormai ben avviato. Dal Ticino (e in generale anche dalla Romandia) non lo si guarda con grossi timori, a differenza di quanto accade in alcune regioni della Svizzera tedesca (Berna, Soletta, Sciaffusa) storicamente più dipendenti dai fondi della centrale di Zurigo. «A parte piccoli contributi di qualche migliaia di franchi per avviare alcuni progetti o per il consultorio giuridico, il Sos Ticino dalla centrale non ha mai ricevuto un franco – osserva Renata Dozio –. Se avremo o meno un domani non dipenderà pertanto dalla futura centrale. Certo, anche questo conta. Ma se preoccupazione c’è, essa è legata in particolare alle scelte che le autorità vorranno fare nei settori dell’asilo e della disoccupazione. La nostra insicurezza nasce in primo luogo a questo livello, dalla mancanza di progettualità politica a lungo termine su problemi quali l’asilo, l’integrazione degli stranieri, ecc.». La prossima settimana una “commissione cerca” di Sos Ticino si riunirà per analizzare l’esito dell’assemblea di domani e per discutere i passi da intraprendere in vista della costituzione di un’associazione regionale che nelle intenzioni dovrebbe andare oltre i “padrini” tradizionali (il Partito socialista e l’Unione sindacale svizzera). Un’associazione che Renata Dozio vede come «un valore aggiunto», un capitale simbolico più che finanziario: «Cercheremo delle persone con una visione di sinistra, progressista, terzomondista, che siano però abbastanza liberi intellettualmente: una sorta di liberi pensatori, di saggi, e magari anche degli ex politici», conclude la direttrice di Sos Ticino.

Pubblicato il

18.06.2004 02:00
Stefano Guerra
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