Spaccati dal lavoro

Ci risiamo, la sinistra politica italiana torna a dividersi e lo fa proprio sul tema intorno al quale si era riunificata: la difesa e l’estensione dei diritti del lavoro. La Corte costituzionale ha deciso l’ammissibilità del referendum per estendere il campo di applicabilità dell’articolo 18 anche alle aziende con meno di quindici dipendenti, un referendum promosso da un ampio arco di forze che comprende la Fiom – il sindacato metalmeccanico della Cgil – e Rifondazione comunista. Per motivi di opportunità, la preoccupazione che questa battaglia spacchi il fronte antiberlusconiano, e/o per disaccordo con il merito del referendum la maggiore forza della sinistra, che sono i Ds, annuncia l’intenzione di votare no. O almeno questo è il punto di vista della maggioranza dei Democratici di sinistra, mentre alcuni esponenti del partito sostengono il referendum e altri sono addirittura tra i promotori. La Cgil, d’altro canto, è fortemente imbarazzata. Vediamo nel merito cos’è che divide e cosa unisce. Se c’è una cosa di cui l’Italia può andar fiera, e proprio in una stagione in cui l’immagine del Belpaese sbiadisce sotto l’incalzare della crisi economica e del governo forse più impresentabile d’Europa, è lo Statuto dei lavoratori. Si tratta di un lascito prezioso di una stagione diversa, iniziata alla fine degli anni Sessanta; è un sistema di regole democratiche che esalta il valore e la centralità del lavoro e ne tutela gli attori. Uno dei punti più contestati dello Statuto riguarda il diritto alla riassunzione nel medesimo posto del lavoratore licenziato ingiustamente, qualora il giudice così abbia sentenziato. Stiamo parlando dell’articolo 18, in difesa del quale le fabbriche e gli uffici si sono svuotati nel 2002 e le piazze d’Italia si sono riempite, in risposta all’appello della Cgil di Sergio Cofferati. Cisl e Uil, invece, dopo aver condiviso l’avvio di questa battaglia democratica, hanno finito per rientrare nei ranghi e firmare con il governo Berlusconi e la peggior Confindustria del dopoguerra il Patto per l’Italia che prevede lo smantellamento, tra gli altri diritti, dell’articolo 18. Ma la mobilitazione operaia e popolare ha spinto il cavaliere di Arcore a mettere nel cassetto il tema più caldo, per usarlo come una spada di Damocle sulla testa dei lavoratori, della Cgil e della sinistra. Qualcuno ricorderà che lo scontro che ha segnato lo scorso anno non riguardava soltanto l’articolo 18 ma l’insieme dei diritti dei lavoratori, messi a dura prova dalla politica neoliberista di Berlusconi che tenta di portare alle estreme conseguenze le aperture all’ideologia del mercato da parte dei governi di centrosinistra: estensione della flessibilità, terziarizzazioni, deregulation e precarizzazione del lavoro con la crescita delle figure atipiche. Contratti d’ingresso, a tempo determinato, interinali (i lavoratori in affitto ben raccontati nei film di Ken Loach), intermittenti e stagionali. Le profonde modifiche che sono intervenute nel mondo del lavoro impongono alle organizzazioni sindacali e alle forze della sinistra di rivedere le forme di tutela dei diritti, dato che ormai quelle previste persino dallo Statuto dei lavoratori garantiscono soltanto una minoranza. Facciamo un esempio. Se un’azienda di trenta dipendenti decide di terziarizzare, più semplicemente di scindersi in tre aziende nominalmente diverse di 10 dipendenti ciascuna, ecco che lo Statuto diventa inapplicabile e l’imprenditore ha la facoltà di procedere ai licenziamenti individuali senza giusta causa perché non sarà più sottoposto a vincoli di legge. Al massimo, se un giudice gli darà torto, dovrà monetizzare la sua carognata (il licenziamento) pagando al lavoratore ingiustamente licenziato qualche mensilità. Ecco la ragione del referendum estensivo anche alle piccole aziende dell’articolo 18, che impone appunto la riassunzione del lavoratore ingiustamente buttato fuori. I promotori stanno impostando la battaglia per arrivare alla vittoria del sì, tutt’altro che semplice, ricollegandosi alla grande stagione dei diritti condotta dalla Cgil lo scorso anno. È una preoccupazione puramente politicista quella che determina l’imbarazzo del maggior sindacato italiano e del suo ex segretario, Sergio Cofferati. Il “cinese” si trova ora a guidare il processo di rifondazione dell’Ulivo, cioè di un’opposizione politica incapace di fare opposizione, divisa, legati a schemi e alleanze di un’epoca che non c’è più. Cofferati tenta di ricostruire un rapporto tra l’opposizione sociale, che invece esiste e non è tornata a casa e una sinistra più presentabile, riformista ma non subalterna alla cultura berlusconiana com’è quella guidata da Massimo D’Alema. In questo contesto, Cofferati vede come il fumo negli occhi un referendum che riporta lui e la Cgil alla radicalità della battaglia per i diritti dei lavoratori. Come se i diritti fossero una variabile dipendente dall’opportunità politica, e non viceversa. Se la Margherita e i Ds gridano allo scandalo contro il referendum, i toni critici di Cofferati e della Cgil di Guglielmo Epifani sono più pacati. L’ipotesi che sostengono è che il referendum non è lo strumento adeguato per estendere sacrosanti diritti, meglio sarebbe una legge che recepisca questa esigenza condivisa. E così, tra Ds e Cgil sono già 5 o 6 le proposte di legge presentate o in via di allestimento. Peccato che i rapporti di forza in Parlamento siano tali da escludere categoricamente la possibilità che sia approvata una legge estensiva dei diritti, essendo l’obiettivo della destra quello opposto: toglierli a tutti, cancellare l’articolo 18. È prevedibile che una volta svelata l’impraticabilità della via legislativa, l’intera Cgil si troverà costretta a sostenere la vittoria del quesito referendario. E come potrebbe, ragionevolmente, spiegare ai suoi militanti una scelta diversa da quella dei metalmeccanici della Fiom, il vero motore della ripresa della lotta sociale italiana? Anche perché la Cgil sa benissimo che i diritti sono il cemento che può mantenere unita la cultura del movimento operaio con quella delle giovani generazioni che si battono contro la globalizzazione neoliberista e la guerra. L’incontro a Porto Alegre tra Guglielmo Epifani e il movimento no global, in questi giorni, può contribuire a liberare la Cgil da tatticismi e politicismi.

Pubblicato il

24.01.2003 04:00
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