La testimonianza

Turni di lavoro infiniti, mentre a busta paga figuravano solo le ore massime consentite per legge. È una delle tante gravi irregolarità denunciate nel cantiere AlpTransit della galleria del Monte Ceneri durante la fase della tecnica ferroviaria (si veda la scheda in coda all'articolo). L’opinione pubblica ne è venuta a conoscenza grazie all’inchiesta giornalistica andata in onda il 4 aprile a Falò (Rsi), la cui notizia è stata poi ripresa dalla stampa nazionale.

 

Le gravi problematiche sono emerse grazie al coraggio di lavoratori che, stufi dei ripetuti soprusi, si sono rivolti ai sindacalisti di Unia. Il sindacato li ha poi seguiti lungo tutta la vertenza, ancora lontana dall’esser conclusa. In attesa che la magistratura ticinese termini i dovuti accertamenti, area ha voluto intervistare Fouad Zerroudi, uno degli operai che ha denunciato le gravi ingiustizie.

 

Quando lasciò il Marocco per trasferirsi in Europa, Zerroudi aveva un sogno ben diverso dalla vita che gli è toccata. Laureato in economia e commercio nel suo Paese, avrebbe voluto proseguire gli studi accademici all’Università di Liegi (Belgio). Impossibilitato perché sprovvisto dei mezzi finanziari per pagarsi gli studi, Zerroudi rinuncia a malincuore a quel sogno, andando a lavorare come manovale nel campo dell’armamento ferroviario, diventando in breve tempo un operaio specializzato. Tra il 2017-2018, ha lavorato nel cantiere di Sigirino quale distaccato per la sua ditta italiana. Intervistato dalla Rsi ha dichiarato: «In cantiere non ho mai ricevuto nessun tipo di controllo: se avevo l’abilitazione a guidare il trenino, se avevo il badge, quante ore facessi, se fossi sotto l’effetto di alcool o stupefacenti. Niente, mai nessun controllo».


Signor Zerroudi, si aspettava questa assenza di controlli in Svizzera? Le era già capitato in altri cantieri?
Prima di Sigirino, ho lavorato in Danimarca in un grande cantiere, molto esteso, dove le possibilità di sfuggire ai controlli erano teoricamente maggiori. Invece i controlli, seppur non fossero frequenti, c’erano ed erano efficaci. Il solo sapere che ci fossero dei controlli, creava un ambiente di lavoro rispettoso delle norme. A Sigirino invece, l’assenza totale di accertamenti ha generato un clima di menefreghismo, di poter fare tutto ciò che si voleva, tanto non ci sarebbero state ripercussioni.


I silenzi del capoprogetto di AlpTransit, della commissione paritetica nazionale, della Centrale di Comando su quanto accadeva nel cantiere. Ancora oggi, tutti si rifiutano di dare i dati delle presenze, degli orari registrati ecc. La stupisce questo atteggiamento?
Avevamo un’altra immagine della Svizzera, quella di un Paese dove si lavora nel rispetto dei diritti e doveri dei lavoratori e delle aziende. Purtroppo la realtà era tutt’altra. Non avevo mai lavorato prima in Svizzera. Spero che quel cantiere sia stata un’eccezione, dove forse in tanti hanno preferito chiudere un occhio pur di concludere velocemente i lavori.


Cosa le ha fatto più male? I ritmi infernali, i pericoli per la sua sicurezza, la richiesta di restituire i soldi della sua paga per il lavoro prestato o altro?
L’assenza di sicurezza era il fatto più grave di quel cantiere. In quelle condizioni, rischi di far male a un collega o a te stesso. Mentre a livello personale, quel che mi ha più fatto male, è stata l’omertà che vi regnava. Subivi un comportamento incivile, essendo trattato quasi fossi uno schiavo, e se reagivi, ti scontravi col muro di omertà. A livello psicologico, questo atteggiamento faceva molto male.


Quel trattamento si è poi protratto a cantiere concluso?
Lavorando a ritmi infernali, abbiamo chiuso il cantiere in anticipo sui tempi previsti. Ci aspettavamo dunque una gratificazione economica per i nostri sforzi, tanto più che la ditta ha incassato un bonus dal committente per questo fatto. Al contrario, hanno preteso la restituzione di parte dei salari. Così facendo, hanno dimostrato il loro disprezzo degli operai. Non solo ti abbiamo spremuto, ora devi pure ridarci i soldi e devi stare zitto.


Lei oggi ha lavoro?
Da operaio specializzato, avevo trovato un impiego presso un’azienda in Italia. Ma dopo un mese, mi hanno lasciato a casa, facendomi capire chiaramente che se non avessi ritirato la denuncia in Svizzera, potevo scordarmi di lavorare in Italia. Mi auguro di poter trovare un impiego all’estero, magari in Svizzera, in modo da non aver più a che fare con certi personaggi. La normalità dovrebbe essere avere un lavoro, svolgerlo bene ed essere pagati come convenuto. Punto e basta. Non dover litigare, rivolgersi ai sindacati, giornalisti o magistrati. Ne avrei fatto volentieri a meno.


Lei ha detto che era consapevole delle possibili ritorsioni, dell’impedirle di ritrovare lavoro. Eppure è andato avanti ugualmente…
Da solo non ce l’avrei mai fatta. Non voglio enfatizzare l’appoggio avuto dai sindacalisti di Unia, ma senza il loro impegno, la loro vicinanza, non sarei riuscito ad andare avanti nella denuncia. Anche il lavoro giornalistico della Rsi è stato determinante. Mi hanno aiutato nell’esprimermi senza aver paura. Condurre da solo questa battaglia sarebbe stato impossibile. Ci sono dei momenti in cui ti senti isolato, nei quali perdi fiducia in te stesso. Avendo famiglia, non puoi fare a meno di domandarti: perché non sei stato zitto come gli altri? Vale la pena rischiare di perdere il lavoro? Senza il supporto dei sindacalisti, l’interesse del giornalista, la condivisione di alcuni colleghi, anche la più forte convinzione, rischia di incrinarsi.


Lei si è battuto per la giustizia sociale, per il rispetto della dignità sua e dei suoi colleghi. Da dove le arriva questa forza, questi principi?
Dentro di me sentivo un forte sentimento di ingiustizia al quale dovevo ribellarmi. Non so dire con precisione da dove arrivi. Forse grazie agli studi superiori (è laureato in economia e commercio, ndr), so quanto sia importante il rispetto degli esseri umani, indipendentemente da quale posizione occupino, operai, cameriere o direttore.


In studio a Falò ha detto: «Ho la coscienza pulita per aver detto di no a un sistema che trattava l’operaio da schiavo. Voglio pensare di aver fatto bene a denunciare, a rivolgermi alla giustizia svizzera». Cosa si aspetta nel breve termine?
Semplicemente chiarezza e giustizia. Noi, il primo passo, lo abbiamo fatto. Ora speriamo che la magistratura porti a termine l’inchiesta. Credo che non solo noi, ma l’opinione pubblica, i sindacalisti, i giornalisti, i lavoratori e le aziende serie, si aspettano giustizia.


Cosa si sente di dire ad altri lavoratori che si trovano nella sua situazione?
Invece di rivolgermi ai lavoratori sfruttati, vorrei fare un appello agli organi di controllo. Se svolgete bene il vostro compito, non avremmo queste situazioni. Non è compito dell’operaio denunciare. Se i controlli son ben fatti, si evita di mettere l’operaio in una brutta situazione. Quando denunci, sai che dovrai lasciare quel posto di lavoro e avrai davanti un futuro incerto. I controlli preventivi consentirebbero a tutti di lavorare in pace, operai e aziende, senza costringere nessuno a dover scegliere se denunciare, con tutti i rischi connessi, oppure continuare a subire in silenzio.

 

Scheda/Il cantiere della vergogna

Giornate lavorative infinite (fino a 24 ore consecutive), lavoro ininterrotto per una ventina di giorni consecutivi, buste paga taroccate al ribasso, assenza di permessi per guidare macchinari, indizi di caporalato. Sono alcune delle problematiche riscontrate sul cantiere AlpTransit del Monte Ceneri nell’appalto di tecnica ferroviaria (posa dei binari), andato alle imprese italiane Gcf Generale costruzioni ferroviarie e Gefer (entrambe del Gruppo Rossi di Roma) del consorzio italo-svizzero ‘Mons Ceneris’. Appalto ottenuto con un’offerta del 30% più bassa rispetto al consorzio svizzero-austriaco concorrente, il cui ricorso nel 2015 era stato respinto dal Tribunale federale. Da sapere che il consorzio è stato premiato con un bonus finanziario dal committente AlpTransit, per aver concluso i lavori prima del termine di consegna previsto. Bonus di cui gli operai, spremuti con turni allucinanti, non hanno visto nulla.
Dopo la puntata di Falò che ha evidenziato le gravi problematiche, la magistratura ticinese ha aperto un’inchiesta, affidata al procuratore Andrea Gianini.

Pubblicato il 

09.05.19