Tempi roventi

«Abbiamo bisogno di costruire il fronte più ampio possibile per sconfiggere il disegno liberista del governo e della Confindustria. Per questo stiamo preparando iniziative di massa fino allo sciopero generale dei metalmeccanici, insieme a tutte le categorie dei lavoratori che si apprestano a rinnovare i contratti. È fondamentale mantenere aperti gli spazi per una democrazia di massa, spazi che i poteri forti e il governo Berlusconi vogliono liquidare». Non usa mezzi termini Claudio Sabattini, segretario generale della Fiom-Cgil, il più importante sindacato italiano, e traccia i contorni del nuovo autunno caldo italiano. Come altre volte nella storia di questo paese, saranno proprio i metalmeccanici a dar corpo al conflitto sociale e come in passato, la loro lotta metterà in movimento tutte le forze democratiche. Sarà più dura che in passato, questa volta i metalmeccanici hanno a che fare con un governo di destra di qualità diversa, più pericoloso, sostenuto da un blocco di potere solido e aggressivo e difeso da un apparato repressivo inedito che in occasione delle giornate di Genova contro i signori del G8 ha fatto inorridire i cittadini e i governi di mezzo mondo. A Claudio Sabattini abbiamo chiesto un aiuto per comprendere la difficile stagione sindacale che si apre. Libertà di licenziare L’attacco allo Statuto dei lavoratori, la libertà di licenziare senza giusta causa chi disturba il manovratore, la guerra aperta contro i pensionati: si annuncia un settembre di fuoco. Padronato e governo minacciano lacrime e sangue e al tempo stesso pretendono dai sindacati la pace sociale. Sono terrorizzati dalla ripresa del conflitto, le loro notti sono turbate da un incubo: l’esplosione di un nuovo autunno caldo. Come mai, allora, fanno del tutto per provocarlo? «Temono che si ripeta il ’94, quando Berlusconi fu sconfitto dalla protesta sociale, pur avendo in mano le redini della politica. La violenza di Genova si spiega anche in questo modo. Oggi, però, Berlusconi e i suoi alleati hanno dalla loro un blocco compatto dei poteri forti, con la Fiat che è scesa direttamente in campo per imporre una svolta liberista e antidemocratica. Gianni Agnelli l’ha detto in italiano, il presidente della multinazionale dell’auto Paolo Fresco in americano, la lingua che gli è più consona. Con Berlusconi si è schierata compattamente la Confindustria, mentre la Banca d’Italia è andata oltre, preparando il terreno per la svolta a destra. Chi ha fatto vincere Berlusconi oggi presenta il conto. Un conto salato: vogliono affossare i contratti nazionali, liberarsi dell’articolo 18 dello statuto per licenziare in assoluta libertà, imporre un patto sociale per far pagare ai lavoratori la competività del sistema Italia. Il conto salato della competitività Sanno che ci sarà una risposta sindacale molto forte e Berlusconi sa che, se si ripetesse il ’94, ciò avverrebbe in termini conclusivi per lui. Per questo assistiamo a un balletto preoccupante: lanciano la provocazione e poi incaricano qualcuno di tirare il freno (Bossi sui licenziamenti e le pensioni), o di ragionare sui tempi più lunghi (Fini che dice: abbiamo 5 anni di tempo per fare quel che i padroni ci chiedono). Ma vogliono tutti la stessa cosa, sognano una restaurazione politica e sociale che i sindacati non possono accettare, in cambio di finte contropartite». Però la Cgil sembra isolata in questa battaglia, e la Fiom è rimasta sola a battersi per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, mentre Fim e Uilm hanno firmato un accordo separato che non consente neppure il recupero dell’inflazione reale. L’unità sindacale è a pezzi. Sul versante politico, poi, le forze di sinistra e democratiche sono deboli, divise, in molti casi subalterne e non mancano certo le orecchie sensibili al canto delle sirene sulle flessibilità, sulla modernità, sul liberismo governato e contrattato. «La Cgil non è isolata perché rappresenta la stragrande maggioranza dei lavoratori. Pensa solo al successo straordinario della Fiom nei posti di lavoro, dove la gente sta con noi, firma in massa la richiesta del referendum per cancellare un accordo inaccettabile e sciopera in massa. C’è stata una presa di coscienza e uno spostamento importante della base sociale, in questi mesi. Tu dici che non abbiamo sponde politiche a sinistra, in parte è vero. Ma io credo che l’incalzare dell’aggressione della destra politica e padronale non potrà che rimettere in movimento un’opposizione parlamentare, più o meno convinta, che non potrà dare ulteriore credito o fare altri sconti. Anche perché è possibile oggi in Italia la ripresa di un movimento sociale forte. A partire dai metalmeccanici e dalle forze che qui come in tutto il mondo si battono contro la globalizzazione liberista». Cgil, si riapre il dibattito Sta cambiando qualcosa nel gruppo dirigente moderato e nel corpaccione burocratico della Cgil, si riapre un dibattito che sembrava ingessato, dopo gli errori e i ritardi dei mesi scorsi si scoprono il valore e l’opportunità del movimento No global, mentre solo a luglio la Cgil, con l’esclusione della Fiom e della componente confederale di sinistra, si chiamò fuori da Genova. Pensi che il cambiamento sia reale, o che le aperture alla cultura del conflitto democratico siano solo uno specchietto per le allodole? C’è chi accusa Sergio Cofferati di usare il sindacato che dirige per la battaglia interna al suo e al tuo partito, i Ds, schierandosi con Giovanni Berlinguer contro Piero Fassino e Massimo D’Alema. «L’apertura al movimento contro la globalizzazione è un dato di fatto, prima e più che una strumentalizzazione per una battaglia di partito. Mi permetto anche di dire che la Fiom ha avuto un ruolo positivo in questa ripresa di dibattito: il nostro legame con il «Genoa social forum» è stato importante e ha modificato posizioni nella Cgil. Aprire al movimento Contemporaneamente, una parte consistente del gruppo dirigente ha capito che il processo di americanizzazione cavalcato dai padroni e dal governo ha come obiettivo la liquidazione del sindacato e dei movimenti. Ci sono soggetti nuovi, giovani operai, tecnici, impiegati che non sopportano l’oppressione provocata da ritmi, salari, condizioni di lavoro intollerabili. La consapevolezza di questa condizione di sfruttamento è stata l’elemento che ha consentito alla Fiom di aprire una stagione di lotte che non riusciranno a chiudere facilmente». La scelta conflittuale della Fiom, nelle fabbriche e nelle piazze con il popolo di Seattle, è il prodotto di una scelta coraggiosa e di sinistra del suo gruppo dirigente, oppure di una modificazione della composizione di classe? I giovani operai della Fiat o dei call center vestono e pensano allo stesso modo dei ragazzi di Genova. Sono i ragazzi di Genova. «Noi abbiamo raccolto e rilanciato una domanda concreta dei lavoratori, che hanno capito che la globalizzazione liberista non è una semplice operazione coloniale, i suoi effetti antidemocratici colpiscono le periferie come il centro dell’impero, il Sud e il Nord del mondo. C’è un comune sentire nei posti di lavoro come nelle scuole: non si può accettare che le decisioni che riguardano la propria vita vengano determinate da oligarchie che agiscono fuori da ogni regola democratica». La Fiom annuncia una nuova stagione di lotte. Come vi muoverete, e con chi? «Venerdì 14 metteremo a punto la strategia per i contratti e per battere il disegno liquidatorio del governo e della Confindustria, prepareremo iniziative di massa fino allo sciopero generale con tutte le categorie sotto rinnovo contrattuale. E contribuiremo a mantenere aperti quegli spazi di manifestazione del dissenso che Berlusconi ogni giorno minaccia di chiudere». I metalmeccanici erano a Genova e saranno a Napoli contro la Nato, così come due anni fa erano in piazza contro le bombe (di centrosinistra) su Belgrado e Pristina. I No global saranno alle manifestazioni dei metalmeccanici? «E’ prevedibile che, una volta scelta da noi la strada di una dura opposizione democratica, il movimento parteciperà alla nostra battaglia, sulla base di un rigido criterio della non violenza».

Pubblicato il

21.09.2001 04:00
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