Tempo di disillusioni

Esseri umani a tempo determinato. Il gesto di “buona volontà” del Consiglio di Stato nei confronti degli equadoregni ospitati al Centro della Croce Rossa di Cadro si è esaurito con la fine delle feste natalizie. Un’azione umanitaria che, alla luce del recente e tassativo ordine di espulsione dei “sans-papiers”, rivela tutta la sua valenza d’ipocrita opportunismo politico. Chiamiamo le cose col loro nome perché tali e in modo crudo si stanno rivelando. Sconcerta infatti quest’atteggiamento delle istituzioni rasente il cinismo: non può uno Stato decidere che per alcuni giorni un gruppo di persone rappresentino uno caso umanitario, le accolga, faccia sorgere in loro la speranza per poi, pochi giorni dopo, far capire che non lo sono più, che vanno cacciati via. La festa è finita, sgombrate il campo e tornate nei vostri inferni. Non avremmo saputo niente di queste persone se il Movimento dei Senza Voce non le avesse rese “visibili”, se non avesse chiesto al Governo di aprire uno stabile - disponibile - per dare loro riparo. Nessuno avrebbe conosciuto la storia e la sorte di queste famiglie, ma tutto avrebbe seguito il suo corso silenziosamente. Così come accade quotidianamente per tanti altri immigrati clandestini che approdano nei nostri territori in cerca di un riscatto alla loro miseria. Miseria sì, fame: da questo fuggono gli equadoregni. Da questo fuggono milioni di uomini, donne e bambini, che migrano da una nazione all’altra. Che, scacciati, ritornano perché non hanno nulla da perdere, perché l’alternativa è, sempre e comunque, l’indigenza. E noi, con orrore e ipocrisia guardiamo ai “rifugiati economici”, li rifiutiamo e non sentiamo ragioni quando ci si dice che non molto tempo fa anche i nostri avi hanno conosciuto quella condizione. Noi eravamo migliori, laboriosi, educati, puliti. No, non era così, eravamo brutti, sporichi e cattivi. Lo ricorda nel suo libro-shock “L’orda” l’italiano Gian Antonio Stella. Un passato di “Mafia-Mann”, “macaroni”, “non visibilmente negri”, rimosso o abbellito da un “lifting” ricostruttivo frettoloso e favolistico. Accettiamo i perseguitati politici ma non chi arriva perché affamato o povero. La loro condizione ci fa rivivere un pezzo della nostra storia di cui pensavamo di esserci liberati per sempre. E che invece continua ad appartenerci, anche se ha cambiato volto e lingua.

Pubblicato il

17.01.2003 00:30
Maria Pirisi
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