Ticinesi maltrattati

Il mondo è formato da un centro (Usa) e da una provincia (il resto). Ma come c’è sempre un sud del sud, c’è anche, e sempre, un qualche centro e una qualche provincia in tono minore, all’infinito, sino a certi paesi divisi in "Ca’ da Sura" e "Ca’ da Sota", dove entrambe le frazioni ritengono di rappresentare il centro. In Svizzera il centro è Zurigo: o forse no, ma non importa, perché Zurigo come tale è recepito. Lugano dunque è provincia. O forse no, ma non importa, perché come tale si recepisce: ciò si denota soprattutto dai molti rimproveri che vengono rivolti al centro (a tutti i centri): voglia di mantenere in eterno il potere, arroganza, manipolazione dei giudici-arbitri. Ora a scanso di equivoci il centro (imperiale) si comporta proprio così. Da sempre. Anche nel nostro paese? Nel nostro sistema federale? E, infine, anche nello sport, importante cartina di tornasole degli umori popolari? Se il centro tende al complesso di superiorità la periferia, la provincia, tende a quello d’inferiorità. Il miglior modo per uscire dal circolo vizioso, per noi provinciali, è quello di non avere nessun complesso: né d’inferiorità, né all’opposto, di superiorità, tipico di certe realtà locali ("il n’y en a point comme nous"). Le statistiche di fine stagione del calcio svizzero dicono che Lugano, Bellinzona e Locarno sono le squadre che hanno accumulato il maggior numero di cartellini rossi e gialli: brutti e cattivi insomma. Almeno la metà di questi hanno un’origine non tecnica, ma "culturale": le nostre società, prima ancora che i giocatori, sono convinti in modo preconcetto, che nei nostri confronti c’è malanimo, malafede, che il centro ci vuole "sotto". Pertanto ad ogni fallo arriva la violenta protesta che provoca altri cartellini. E poi arriva la vendetta che provoca ancora una punizione. Un eterno disastro insomma. Con un’altra conseguenza: i nostri dirigenti, allenatori ecc. per principio non ammettono mai un torto loro o dei loro giocatori. Neanche di fronte alla più grossa evidenza, tipo calcioni alle caviglie, sputi, provocazioni. Sempre per un complesso di inferiorità culturale che giustifica certi atteggiamenti con le continue ingiustizie subite e la perenne congiura nei nostri confronti. E allora, persone molto stimate per il loro valore tecnico e per la loro intelligenza diventano patetiche cercando di giustificare l’ingiustificabile, di negare l’innegabile: come le mamme che di fronte al figlio assassino sostengono che è il ragazzo più buono e più generoso al mondo. E se si ammettessero i propri torti? Chiaramente e lealmente? Non dimostrerebbe "superiorità" di stile e di spessore umano e culturale?

Pubblicato il

08.06.2001 13:30
Libano Zanolari
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