Martedì era la Giornata internazionale contro il rumore. È bene che lo si rimarchi, perché trascinati nel vortice di questa “crescita” urbanistica motoristica statistica consumistica si tende a scordare che inevitabilmente anche l’inquinamento fonico cresce, giorno dopo giorno. La Suva ci dice che all’incirca un milione di persone in Svizzera sono esposte nelle loro abitazioni a valori superiori ai limiti vigenti. Il traffico stradale è il principale imputato (sono oltre 500 mila le persone che vivono nelle vicinanze di strade troppo rumorose), ma altrettanto dannosi per l’udito possono essere la musica («i lettori MP3 possono diventare delle vere e proprie calamità per le orecchie di chi le usa», scrive la Suva) o il lavoro nell’industria («200 mila persone che lavorano in 20 mila aziende sono esposte a rumori dannosi per l’udito»). Man mano che il rumore si fa più forte, e mentre le fonti di inquinamento fonico proliferano, la nostra capacità di udire diminuisce. C’è però una forma più subdola, acusticamente meno invasiva di rumore, che pur non intaccando direttamente l’udito ha effetti più perniciosi, perché mina in profondità la nostra capacità di ascolto consapevole. Parliamo dell’inquinamento fonico prodotto dai “tromboni” della classe politica e da buona parte dei mass-media che, chi più chi meno, ne riportano e amplificano – fungendo da cassa di risonanza – i suoni. Chi in queste settimane di quotidiano, costante bombardamento politico-mediatico (la campagna elettorale Prodi-Berlusconi, il “Fiscogate” ticinese) non si è sentito almeno per un istante in balìa di un rumore assordante, disorientato di fronte a tante “certezze”, opinioni “oggettive”, dati “inconfutabili”, “verità” vincenti sulle “bugie” dell’avversario politico (o mediatico)? Anche questa è una forma di “precarietà esistenziale”, una precarietà contro la quale ci invita a “inspirare e conspirare” il Coordinamento precari esistenziali (Cpe) in occasione del 1. maggio: scendere in piazza (“reclamare la strada”, dice il Cpe) il giorno della festa delle lavoratrici e dei lavoratori può anche voler dire rivendicare il bisogno di una “de-crescita” fonica, manifestare l’aspirazione alla difesa o alla costruzione di spazi interiori di silenzio (solo là possono crescere radicali, autentiche voci di protesta...) in quest’assordante società capitalistica.

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28.04.06

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