Ue, Usa e getta della Svizzera

Come saranno i futuri rapporti della Svizzera con l’Unione europea, se questa domenica l’estensione della libera circolazione ai nuovi 10 membri dell’Ue sarà approvata dal popolo? E se verrà respinta? Nel primo caso la scelta politica della via bilaterale riceverebbe una conferma definitiva e l’entrata nell’Ue diventerebbe una possibilità ancor più remota di quanto sia stata finora. Nel secondo caso è probabile che le relazioni Svizzera-Ue si facciano più difficili e che di conseguenza la questione dell’entrata diventi politicamente improponibile ancora per molti anni. La Svizzera è dunque condannata all’ isolamento? Dipende da come si guarda alle relazioni internazionali. Se avere buoni rapporti economici con l’estero basta per considerare questo paese aperto al mondo, allora si può anche scegliere di fare accordi di libero scambio con il maggior numero possibile di partner e mantenersi politicamente indipendenti (e isolati). Ma se si riconosce che i buoni rapporti internazionali non sono (o non dovrebbero essere) dettati unicamente dagli interessi economici, allora non ha senso evitare le alleanze politiche derivanti dalle comuni tradizioni culturali, giuridiche e civili. Il Consiglio federale finora ha difeso quella domanda di entrata nell’Ue, fatta nel 1992 prima della votazione sullo Spazio economico europeo e congelata subito dopo. Ma da quando in governo c’è Christoph Blocher, un altro orientamento vi si sta facendo strada: negoziare un accordo di libero scambio anche con gli Stati Uniti. Questo significa tre cose: che i politici e l’economia vogliono avere un’alternativa all’Ue qualora i bilaterali andassero a ramengo, per evitare un pericoloso isolamento della Svizzera; che un accordo di libero scambio con gli Usa significa (o si fa credere che significhi) una facilitazione di accesso ai mercati americani ed asiatici della cosiddetta “area del dollaro”; che il Consiglio federale sta piano piano cedendo alla politica blocheriana dell’Udc. Delle prime manovre del governo in questa direzione si è avuta certezza il 12 gennaio scorso, quando il consigliere federale Joseph Deiss annunciava ai media l’intenzione dell’esecutivo di «stipulare diversi accordi di libero scambio con paesi selezionati» – come Usa, Cina, India Brasile, Russia, Messico e Canada – allo scopo di «meglio proteggere gli interessi dell’economia». Il 3 marzo appariva un’intervista nella quale il presidente della Camera di commercio svizzero-americana, Martin Naville, affermava in sostanza la necessità per la Svizzera di stringere un accordo di libero scambio con gli Usa. L’offensiva è continuata con un’altra intervista del 7 maggio, nella quale lo stesso ministro dell’economia confermava che il governo stava «esaminando la fattibilità di un accordo di libero scambio con gli Usa», il che voleva dire che erano già in corso negoziati preliminari. In seguito si è saputo che i primi contatti a livello diplomatico erano stati presi sin dal novembre dell’anno scorso; ma soltanto nella prima metà di maggio gli americani, con un’intervista dell’ambasciatrice degli Usa a Berna, Pamela Willeford, hanno finalmente segnalato il loro interesse a negoziare con la Svizzera. Il 19 maggio è entrata in scena la ministra degli esteri Micheline Calmy-Rey, che con molta carta e molte parole ha annunciato i principî della nuova «politica estera universale» del nostro paese. «La superpotenza Usa è un fatto che la Svizzera non può ignorare», ha detto in quell’occasione la consigliera federale socialista per giustificare il cambio di direzione della politica estera, nonché la sua intenzione di riuscire a far convivere e coordinare l’orientamento verso Bruxelles con quello verso Washington. Il 20 luglio Deiss è andato in America per verificare personalmente la disponibilità del governo e dell’economia Usa all’accordo con la Svizzera. C’è andato con il consenso apparentemente unanime dell’economia e con quello incerto del presidente dell’Udc e dell’Associazione dei contadini zurighesi, Ueli Maurer. Gli ambienti rurali in effetti non sono molto entusiasti: già con gli accordi Gatt (quelli dell’Organizzazione mondiale del commercio) devono pagare alla globalizzazione un pesante tributo; ora non vorrebbero trovarsi a dover fronteggiare anche un’agguerrita concorrenza americana a base di Ogm. Ma nonostante l’inconciliabilità degli interessi del business agroindustriale americano con quelli dell’agricoltura svizzera orientata in senso ecologico, l’accordo è fortemente voluto da alcune lobby economiche di ambedue le parti. Il volume di scambi tra gli Usa e la Svizzera – come ha dichiarato il ministro dell’economia Deiss – tocca ormai i 20 miliardi di dollari nel settore industriale ed i 16 miliardi in quello dei servizi. Le imprese svizzere danno lavoro negli Usa a 500 mila americani; e oltre la metà delle imprese straniere in Svizzera sono americane. E se 7 milioni di persone sono un mercato troppo piccolo per il complesso agroindustriale americano, in compenso la Svizzera potrebbe avere in futuro una preziosa funzione di “testa di ponte” per gli Usa in Europa, qualora le perenni ed ostiche trattative commerciali tra Ue ed America dovessero prendere una brutta piega. Infine, giova ricordare che la Svizzera esporta negli Usa soprattutto macchine (meccanica di precisione), orologi e prodotti chimici. E tra le imprese del settore chimico che più esportano negli Usa, c’è anche la Ems-Chemie della famiglia Blocher. E così il cerchio si chiude. È dal 1966 che Christoph Blocher va predicando l’opportunità di un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, che sarebbe vitale per la sua ditta e per una serie di altre imprese di medie dimensioni, pronte a lanciarsi sui mercati mondiali. Il mercato europeo per queste imprese è d’importanza relativa, poiché vi trovano una concorrenza numerosa e concentrata; mentre sui mercati mondiali è più facile ritagliarsi una nicchia in cui prosperare. Così una scelta economica diventa giustificazione e supporto di una strategia politica. E viceversa. box Il comportamento futuro della Svizzera rispetto all’Unione europea è una questione politica di prim’ordine. Ma è anche una questione su cui la sinistra non ha ancora le idee chiare. Lo dimostra, per esempio, il fatto che da una parte il movimento degli Jusos (Gioventù socialista) chiede al Partito socialista svizzero di condannare l’intenzione del governo di negoziare un accordo di libero scambio con gli Usa, e d’altra parte l’assemblea dei delegati del Pss respinge tale richiesta per sostituirla con l’incarico alla direzione del partito di «elaborare una posizione critica sul progettato accordo di libero scambio». Si può supporre, con un pizzico di malizia, che tanta cautela sia dettata dal fatto che la ministra degli esteri, Micheline Calmy-Rey, è socialista e molto popolare: prima di criticarne la politica, dunque, è bene valutare con cura le conseguenze di un tale passo. Più chiarezza ha invece portato nella questione il settimanale Wochenzeitung, mettendo a confronto su questo tema l’ex-presidente del Pss, Peter Bodenmann, e il consigliere nazionale dei Verdi e sindacalista della Vpod, Daniel Vischer. Bodenmann ha sostenuto che se oggi l’adesione della Svizzera all’Ue è sempre meno attuale, la colpa è dei Verdi e di quella parte del Pss che nel 1992 sostennero la “via solitaria” della Svizzera verso l’Europa. La conseguenza è che oggi la Svizzera deve lottare con se stessa per approvare gli accordi bilaterali e le misure d’accompagnamento, e garantirsi così un minimo di protezione di fronte alla globalizzazione, senza peraltro avere alcun potere di codecisione in seno all’Ue. Il colmo è che se la Svizzera fosse entrata nell’Ue, oggi deciderebbe sull’ammissione della Turchia, mentre adesso c’è il rischio che sarà la Turchia a decidere sull’ammissione della Svizzera. Bodenmann e Vischer hanno però convenuto sia sulla necessità per la Svizzera di poter contare su un grande spazio economico come l’Ue, sia sul rischio che essa diventi «politicamente ed economicamente la portaerei degli Usa» in Europa. Un’eventualità che né il Pss, né i Verdi vogliono. Ma nessuno dei due partiti è in grado in questo momento di formulare proposte concrete rispetto ad un’eventuale adesione della Svizzera all’Ue.

Pubblicato il

23.09.2005 01:00
Silvano De Pietro
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