Un'asta senza più la bandiera

In Italia c'è una compagnia di bandiera, l'Alitalia, e una compagnia di giro i cui componenti sono i "capitani coraggiosi", arruolati – questa volta – da Berlusconi che ha anche strappato gli applausi di Cisl, Uil e Ugl e ammiccamenti frammisti a finte opposizioni da parte del Partito democratico. Della compagnia di bandiera resta ormai soltanto l'asta: ogni giorno Alitalia perde due milioni di euro e nel giro di poche ore gli aerei potrebbero restare a terra senza benzina, o messi di traverso sulla pista dai piloti che non si rassegnano alla dissoluzione di un bene comune per l'insipienza del governo e oltre un decennio di scelte industriali, strategiche e gestionali suicide. Stipendi d'oro per i dirigenti, buonuscita da nababbi ai responsabili dello sfascio, rinuncia al ricco mercato dei collegamenti intercontinentali. Come ben sanno i lettori svizzeri, una compagnia di bandiera può anche morire, e solo nei primi otto mesi di quest'anno sono ben 25 le compagnie aeree che hanno tirato le cuoia in tutto il mondo.

La compagnia di giro si muove sulle ali (si fa per dire) di Cai, che non è il glorioso Club Alpino Italiano ma la neonata (e neomorta, poi risorta per qualche ora su ordine di Berlusconi) Compagnia aerea italiana, la parte "sana" di Alitalia da cui il governo, con i soldi dei contribuenti, ha tolto debiti, esuberi ed eventuali futuri ammortizzatori sociali. Il presidente è quel Colaninno caro a D'Alema, passato alle cronache per la privatizzazione (dei profitti e nazionalizzazione delle perdite) del gigante Telecom. Con sé ha altri 15 imprenditori, dalla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia al siderurgico Riva, al tessile Benetton che (come altri soci di Cai) rischia il conflitto di interesse, essendo gestore di quegli aeroporti interessati direttamente alla vita e ai destini di Alitalia. È la famigerata cordata italiana, in nome della quale Berlusconi, con una grande campagna, fece fallire l'accordo con Air France pochi giorni prima delle elezioni che lo riportarono a palazzo Chigi mandando a casa Prodi e tutto ciò che avesse a che fare con la sinistra. Cinque mesi dopo, l'Alitalia è sull'orlo del fallimento, ha perso valore economico e credibilità e ha di fronte a sé poche ore di vita.
Sin dalla sua faticosa nascita, Cai ha messo le carte in tavola: via i due hub di Roma e Milano e riduzione dell'Alitalia a una compagnia minore, titolare soltanto del traffico interno; di conseguenza, riduzione degli aerei e dell'organico (di 7-8 mila unità), e neanche a dirlo dei giovani precari; riduzione drastica degli stipendi dei 10 mila lavoratori sopravvissuti alla strage; flessibilità totale e riduzione di diritti e garanzie per tutti. Con il paradosso che i dipendenti guadagnerebbero di più con la cassa integrazione o l'indennità disoccupazione che con lo stipendio previsto dal contratto Cai. Al contrario di ogni luogo comune sui piloti, paragonati al padrone del Billionaire Briatore, lo stipendio di chi guida gli aerei italiani è inferiore del 30 per cento a quello medio europeo. Proposte inaccettabili, hanno risposto sei dei nove sindacati presenti in Alitalia, dalla Cgil alle organizzazioni dei piloti e degli assistenti di volo. Cisl, Uil e Ugl (sindacato nato dalle ceneri della fascista Cisnal), che hanno firmato la soluzione imposta da Cai, rappresentano una minoranza dei lavoratori. Così Cai ha potuto liberarsi di un peso che non ha mai voluto sostenere fino in fondo e ha ritirato l'offerta. A questo punto si è scatenata la guerra di Berlusconi, della quasi totalità dei media e del mondo imprenditoriale contro i piloti "egoisti" e la Cgil, che pure ha fatto ogni mossa possibile per tenere aperta una trattativa purché fosse una trattativa e non un ultimatum. Il suo segretario Guglielmo Epifani ha poi sostenuto una posizione ineccepibile sul versante della rappresentanza: anche volendo – e a queste condizioni non voglio – non potrei firmare a nome di figure professionali che non rappresento e non si può certo siglare un accordo di questa natura contro la volontà di piloti e assistenti di volo.
A questo punto, e siamo all'inizio della settimana, il commissario Fantozzi nominato dal governo fa quel che si sarebbe dovuto fare fin dal primo istante, e cioè apre un'asta pubblica alla ricerca dell'offerta più vantaggiosa per vendere per intero o attraverso uno spezzatino la moribonda compagnia di bandiera. Si sa da tempo che sono interessati all'affare non solo Air France ma anche Lufthansa, gli stessi che Cai aveva contattato come possibili soci. Ma Berlusconi fa del tutto per disincentivare qualsivoglia acquirente o partner, continua la sua guerra contro Cgil e piloti e pretende da Colaninno il ritorno in campo di Cai con la ripresa di una trattativa. Colaninno dice ok, ma non è disposto a trattare nulla: o così o ce ne riandiamo. A questo punto la volpe Veltroni scrive una letterina a Berlusconi per sostenere il ritorno in campo di Cai, una mossa che contribuisce oggettivamente a isolare ancor più la Cgil e chi crede in una possibile alternativa sia a Colaninno che alla chiusura minacciata quotidianamente per imporre la soluzione più odiosa. Un'offerta della compagnia aerea venezuelana, mentre scriviamo, non è neanche presa in considerazione, così come la scelta coraggiosa dei piloti di avanzare una loro offerta, con i soldi provenienti dai tfr (trattamento di fine rapporto, in parole povere la liquidazione) e con la disponibilità a ridurre gli stipendi del 30 per cento. Non sono pazzi isolati e rivendicano rapporti con banche e compagnie straniere (la solita Lufthansa).
Il tempo per le offerte, e per i giochetti berlusconiani con Cai, scadono il 30 settembre. Poi non ci saranno più alternative e carburante per Alitalia. La battaglia d'autunno è iniziata, si svolge su più fronti uno dei quali è la controriforma del sistema contrattuale. Peccato che a combattere non ci siano né opposizioni concrete né sinistre, espulse dal parlamento e invisibili nella società. Sperando che la Cgil sia in grado di resistere all'accerchiamento avversario e al vuoto amico.

Pubblicato il

26.09.2008 02:30
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