L'editoriale

L’anno scorso in Svizzera sono morte 72 persone, spesso giovani, in attesa di un trapianto d’organo che avrebbe consentito loro di continuare a vivere. E solo 587 pazienti su 1.434 in lista sono stati trapiantati. Sono dati che ben raccontano come nel nostro paese il numero di donatori sia insufficiente e che giustificano il cambiamento di sistema che sarà sottoposto al popolo svizzero il prossimo 15 maggio: una modifica della Legge sui trapianti che introduce il principio del cosiddetto consenso presunto (ma con la garanzia del coinvolgimento dei familiari), secondo cui chi non intende donare i suoi organi alla propria morte lo deve dichiarare esplicitamente quando è ancora in vita. In pratica si rovescia il modello attualmente in vigore che permette la donazione solo se la persona vi aveva acconsentito in vita con un atto esplicito (tessera di donatore, testamento biologico eccetera) o se lo decidono i congiunti sulla base della sua volontà presunta.


È una situazione insoddisfacente perché tale volontà è spesso sconosciuta: secondo le statistiche, nonostante 8 svizzeri su 10 si dicano favorevoli alla donazione di organi, solo il 37% della popolazione dichiara le sue intenzioni a voce ai familiari, solo il 16% ha una tessera di donatore e solo il 2% è iscritto al registro nazionale di donazione di organi. E nella maggior parte dei casi i congiunti, già fortemente provati dal trauma di una morte spesso improvvisa e inaspettata, non se la sentono di affrontare la questione e si oppongono alla donazione. Il risultato è che in Svizzera le persone in attesa di un trapianto (che è sempre l’ultima opzione terapeutica) sono circa il triplo rispetto al numero di organi compatibili disponibili, il che per i pazienti coinvolti significa anni di estenuante attesa e di immani sofferenze. E anche la morte: in Svizzera si registra mediamente un caso ogni cinque giorni.


Il cambio di paradigma dovrebbe spingere molte più persone a dichiarare la propria volontà (levando anche il peso di una decisione ai familiari in un momento tanto doloroso) e ad accrescere la disponibilità di organi: nei Paesi Bassi ad esempio, dove è in vigore il medesimo modello, il 75% della popolazione adulta ha dichiarato la propria volontà nel registro nazionale. E anche in altri paesi, come Spagna, Portogallo e Francia, si è innescato un meccanismo virtuoso. Non c’è alcun automatismo come dimostrano i contro-esempi di Slovacchia e Polonia che nonostante il modello del consenso presunto sono dietro la Svizzera in quanto a donazioni. Anche perché, oltre alle caratteristiche organizzative del sistema, entrano in gioco pure i fattori culturali, sociali e storici di ciascun paese.


La ricetta del consenso presunto sembra convincere le cittadine e i cittadini svizzeri, visto che, stando ai sondaggi, più del 60% il 15 maggio dirà sì alla modifica di legge. In attesa di conoscere il risultato e gli effetti del cambio di sistema, si può però già sin d’ora convenire su un fatto: il dibattito pubblico di questa campagna di votazione che si sta per concludere avrà sicuramente effetti benefici, perché ha stimolato molte persone a porsi la questione e magari a parlarne con i propri cari. Un esercizio difficile perché ci obbliga a confrontarci con l’idea della nostra morte, ma anche un doveroso atto di generosità con cui si può donare vita.

Pubblicato il 

05.05.22
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