Un fiorellino nero

Trovo Anna alla stazione di Lugano. La ritrovo anche nel tempo. Anni Sessanta: nel cortile della ricreazione gli scolari giocano ai quattro cantoni sotto i gelsi. Sono  maestro elementare; Parisienne al labbro come James Dean, guardo Anna, che insegna in seconda. Ora, dopo tutti quegli anni, ci ritroviamo a parlare nello scompartimento del Tilo: famiglia, malattie, gli anni che passano. Un piccolo angioma fiorisce sulle nostre labbra. Un fiorellino nero.
Si chiacchiera. Nel finestrino brillano le mille luci della notte d'autunno. I lucci tacciono sotto le onde, i nostri pensieri più nascosti. Ma nello scompartimento accanto due voci rompono l'incanto.
Voci? Sono due ragazze sguaiate che interpretano - ma senza ironia - una canzoncina bambinesca emessa da un apparecchio tenuto tra le mani. Hanno qualcosa delle papere da fumetto nelle facce inespressive, nei corpi obesi, negli acuti squittii. E dietro gli squittii si sente il vuoto. Le luci si spengono nel finestrino, con i nostri pensieri. Anna prova  a protestare. Niente da fare. Anzi, le ragazze alzano il volume. Ci spostiamo in fondo alla carrozza.
Continuiamo i nostri discorsi. Queste ragazzine magari sono figlie di nostre allieve o allievi che hanno fallito. Del nostro fallimento educativo.
Anna è della generazione della vita offesa, come me. Di quelli nati in tempo di guerra, che si sono nascosti dietro una tenda o in un armadio per timidezza. Di quelli che preferivano la bici usata a quella nuova. Crepuscolari sopravvissuti. Anna ora, nello scompartimento del Tilo, mentre le papere sempre squittiscono, ricorda la casa sotto il bosco dove abitava la vecchia professoressa che le insegnava il Ci chiami o patria in tedesco… Addirittura. Quanti anni sono passati? Non è rimasto nulla del cortile dei quattro cantoni.
Guardo ancora il fiorellino nero sul labbro di Anna, lei forse guarda il mio. Le luci sul lago si sono allontanate, i lucci dormono. Penso alla sua storia: la pensione, il marito che deve farsi operare, le figlie lontane. Lei forse pensa a qualcosa che sarebbe potuto nascere tra di noi, quando ci guardavamo sotto i gelsi. A quello che sarebbe potuto essere. I lucci riprendono a nuotare, sul fondo. Aveva la passione della pittura, la signorina maestra, l'aspirazione a una vita appartata in una saletta di provincia con i  quadri appesi alle pareti e il pianoforte in un angolo.
A Chiasso la notte  promette altra neve. Scendiamo dal Tilo e diamo un'ultima occhiata alle adolescenti-bambine, prodotti della tivù. Forse, anche senza nascondersi in un armadio, hanno a che fare anche loro, in un altro modo, con la vita offesa. Come si chiameranno? Deborah, Ketty, Samantha?

Pubblicato il

07.05.2010 14:00
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