Una questione di carattere

Un amico mi ferma per strada e mi chiede, con un sorriso sulle labbra che lascia trasparire un orgoglio incommensurabile per la brillante idea, se trovo opportuno investire in oro, visto il particolare momento dei mercati. La risposta, come è facile aspettarsi, è più complessa di un sì o un no, anche se può essere facilmente riassunta con uno di questi due monosillabi. No, non la trovo un’idea brillante. O meglio, la potrei anche condividere se fossi di carattere irreversibilmente e definitivamente pessimista, ma visto che la mia indole va proprio dalla parte opposta, non provo simpatia per gli investitori nei cosiddetti beni rifugio. Non è una questione tecnica. Da questo punto di vista l’investimento in oro può anche risultare un’alternativa logica e rassicurante. Pensando alla distruzione causata da un’eventuale guerra, l’idea dei lingotti chiusi in un solido forziere è certamente di grande conforto. E il pensiero delle immagini degli ultimi dopoguerra europei, quando per comperare un chilo di pane ci voleva una carriola piena di banconote, rafforza il sentimento di sicurezza che emana dal metallo giallo, ma da allora i tempi sono cambiati. Oggi come oggi è difficile immaginarsi un conflitto con livelli di distruzione anche solo lontanamente paragonabili a quelli citati, anzi, probabilmente il prossimo conflitto, pur vedendo schierate in campo forze occidentali, non avrà, o quasi, ripercussioni pratiche sulla nostra vita quotidiana. In sostanza, la paura della guerra non basta più, a mio avviso, per giustificare una ritirata strategica, con ripiegamento sull’oro. Quello che deve semmai farci più paura, è la grave crisi economica che attanaglia l’occidente da ormai tre anni, e per uscire da questa crisi serve coraggio, altro che beni rifugio. Esagerando, se tutti cominciassero a investire in oro, l’economia si accartoccerebbe ben presto su se stessa, come fa un pezzo di carta gettato in un caminetto acceso. Privata di capitali, entusiasmo e speranze, all’economia verrebbe a mancare la propria linfa vitale, con le conseguenze nefaste che possiamo ben immaginarci. Quello che invece sembra decisamente più opportuno, è credere nella possibilità di un rilancio (una volta chiariti alcuni aspetti, anche etici, del medesimo), per sostenere il quale va bene anche un certo tipo di speculazione. Chi dovesse investire oggi in compagnie sull’orlo della bancarotta, per poi ritrovarsi arricchito fra un paio d’anni grazie a queste operazioni, potrà dire di aver contribuito a qualcosa di buono, e difficilmente potrà essere accusato di egoismo. Diversamente coloro che si rifugiano nel guscio dorato dimostrano una buona dose di egocentrismo, e non contribuiscono a un bel niente, tranne forse ad aumentare il panico sulla piazza. La speculazione, già era noto, ha dunque più facce, e non tutte sono disprezzabili. Scegliere da che parte stare è questione di carattere, altro che alta finanza.

Pubblicato il

31.01.2003 13:30
Paolo Riva
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