Una realtà, tanti dubbi e qualche orrore

La realizzazione di un’opera d’importanza europea come quella delle nuove trasversali ferroviarie alpine, che tra pochi giorni sarà celebrata con l’inaugurazione del tunnel di base del San Gottardo, è sicuramente una ragione di vanto a livello internazionale per un piccolo paese come la Svizzera. Ma restano molti dubbi sulle capacità che sapremo mettere in campo per far fruttare gli oltre cento chilometri di gallerie, scavati da migliaia di lavoratori provenienti da ogni angolo del mondo (e non sempre nel pieno rispetto dei loro diritti, come raccontiamo negli articoli correlati).


Alla vigilia dello storico evento constatiamo innanzitutto come i nostri governanti, attraverso una serie di decisioni incomprensibili e alcune esternazioni fuori luogo, stiano minando lo scopo stesso dell’ingente investimento, ossia il trasferimento del traffico merci transalpino dalla strada alla ferrovia, caposaldo della politica elvetica in materia di trasporti, tra l’altro più volte ribadito dai cittadini in occasione di votazioni popolari.


Paradossalmente, proprio quando sarebbe il momento di dare nuovi impulsi alla realizzazione di questo principio, il Consiglio federale e il Parlamento spingono sempre di più verso una liberalizzazione totale del transito di auto e camion attraverso le strade alpine. L’ultima “perla” in ordine di tempo è la sottoscrizione da parte della ministra dei trasporti Doris Leuthard di un’intesa con Moldavia e Ucraina per eliminare il contingente per i tir che attraversano il nostro paese. La decisione si aggiunge a quella, adottata dal Consiglio nazionale all’indomani della sciagurata votazione popolare sul raddoppio della galleria autostradale, di rivedere l’obiettivo – iscritto nella legge – di un massimo di 650.000 transiti all’anno di mezzi pesanti attraverso le Alpi. C’è poi l’infelice uscita del consigliere federale Udc Ueli Maurer – quel ministro delle finanze che qualche settimana fa ha “sdoganato” l’evasione fiscale tramite le società offshore –, secondo cui andrebbe abolito l’«anacronistico» (a suo dire) divieto di circolazione notturno per i tir sugli assi di transito.


Insomma, a poche ore dall’inaugurazione del traforo ferroviario più lungo del mondo, la Svizzera “prenota” un’invasione di camion sulle strade, 24 ore su 24, con tutto quello che ne conseguirà in termini di inquinamento, di malattie e di costi sanitari.
Sembra quasi di essere sul set di uno scherzo. Una sensazione che in Ticino viene alimentata anche dai pianti in pubblico di consiglieri di Stato e granconsiglieri scandalizzati per non essere stati invitati a prendere la parola durante la cerimonia d’inaugurazione del 1° giugno. Questa pare essere la loro unica preoccupazione, come se le sorti della politica elvetica dei trasporti non tocchi gli interessi del Ticino che governano. E poi: che cosa vorrebbero andare a raccontare? E di quali meriti dovrebbero fregiarsi?
Come giornale del lavoro, crediamo che lo storico evento andrebbe sfruttato per dare voce soprattutto ai rappresentanti e alle storie dei 4.500 minatori che, in silenzio, a temperature infernali, in mezzo alla polvere e al rumore, hanno lavorato per anni nel ventre della montagna. È quello che cerchiamo di fare con una serie di contributi (correlati), perché quella del cantiere del secolo è soprattutto una storia operaia, di lotte sindacali, di solidarietà internazionale, di conquiste e anche di morti purtroppo.

Pubblicato il

24.05.2016 23:31
Claudio Carrer

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