Vania Alleva: «Altri Cantoni seguiranno il Ticino»

Da giorni Unia chiede al Consiglio federale di fermare i lavori in tutte le imprese attive in ambiti non essenziali, come è il caso da sabato scorso in Ticino. E tutta L’Unione sindacale svizzera chiede di consentire perlomeno ai Cantoni di adottare «misure di lotta contro la pandemia più incisive» di quelle in vigore a livello federale, in particolare per quanto concerne la protezione della salute sui posti di lavoro. area ha fatto il punto della situazione con la presidente di Unia Vania Alleva.

 

«Nell’applicazione delle misure contro la pandemia abbiamo un’emergenza su innumerevoli luoghi di lavoro. Le norme igieniche e di sicurezza imposte dal Consiglio federale non sono rispettate e la maggior parte dei Cantoni non controlla nemmeno più. Pertanto, uno stop tecnico delle attività socialmente non essenziali è la giusta conclusione, condivisa in Ticino anche dai datori di lavoro. D’altro canto, devono essere rafforzati i controlli e il rispetto delle misure d’igiene nei settori socialmente indispensabili e affini. Il Consiglio federale non deve assolutamente frenare i cantoni come il Ticino che vanno oltre. Deve seguirli», spiega la presidente.

 

Le associazioni padronali nazionali si continuano però a mostrare sorde a ogni appello in questo senso. Ci sono speranze che cambino idea in tempo utile a evitare scenari ancora peggiori di quello attuale?
Non lo so, la situazione cambia rapidamente e con essa la sua percezione. Chi avrebbe mai pensato qualche settimana fa che l’associazione padronale dei costruttori edili in Italia avrebbe chiesto la chiusura dei cantieri? I datori di lavoro in Ticino, ma anche nei cantoni di Vaud e Ginevra, vedono la necessità della chiusura. Altri seguiranno.


Il Ticino, oltre a essere confrontato con una situazione sanitaria grave, subisce da giorni attacchi e pressioni dirette e indirette da parte dei vertici nazionali del padronato. Come interpreti questa attitudine? È dovuta all’ignoranza, all’irresponsabilità o a un’alta dose di cinismo?
La paura delle perdite economiche gioca sicuramente un ruolo, ma ora non voglio lanciare pietre. Nessuno ha chiamato il virus, praticamente nessuno era preparato a una pandemia di questa portata e quasi tutti hanno difficoltà a comprenderne l’entità delle conseguenze prima di esserne colpiti. Probabilmente lo avremmo potuto sapere tutti due mesi fa, ma la Cina è lontana. Anche noi fino a settimana scorsa pensavamo che l’economia avrebbe dovuto continuare a funzionare il più normalmente possibile, tranne che nelle situazioni in cui le misure non venivano rispettate. Abbiamo fatto appello ai datori di lavoro e alle autorità. Ma abbiamo dovuto constatare che non funzionava. Adesso, ogni giorno che aspettiamo ad applicare le disposizioni di sicurezza non fa che peggiorare la situazione. È una corsa contro il tempo. C’è solo una cosa da fare: chi non dimostra di rispettare le normative dell’ufficio federale della sanità pubblica deve fermare le attività e riorganizzare il lavoro in modo conforme.

 

Quali sono le tue sensazioni in questo momento per rapporto all’evoluzione della crisi pandemica ed economica. Preoccupata? Fiduciosa?
Sono molto preoccupata. Stiamo attraversando una grave crisi. Ora tutti hanno bisogno di solidarietà in modo da poter superare la crisi con il minor danno, con il minor numero possibile di morti e di difficoltà sociali. Non sono un profeta, non so come la cosa si evolve. Ma quello che so con certezza è che ora dobbiamo fare di tutto per difendere la salute e alleviare le difficoltà sociali.


I 42 miliardi stanziati dal Consiglio federale in aiuto dell’economia in che misura consentiranno di coprire i salari di tutti i lavoratori in disoccupazione parziale o totale?
Sono un primo passo. Ma è prevedibile che serviranno più soldi per garantire i salari e per la ripresa economica dopo la crisi. Dipenderà da come si sviluppa la crisi. Per il momento, da questo punto di vista, il Consiglio federale ha fatto sue le rivendicazioni sindacali più importanti: mi rallegro del fatto che i lavoratori temporanei, quelli con contratti a tempo determinato o a ore e gli apprendisti possano beneficiare delle indennità per lavoro ridotto. Inoltre le persone che non possono lavorare per poter accudire i figli vengono sostenute tramite le indennità di perdita di guadagno. Al momento la nostra preoccupazione maggiore è l’applicazione delle misure di protezione della salute nelle imprese.


Non si dovrebbe esigere anche il divieto di ogni licenziamento?
Noi rivendichiamo la salvaguardia di tutti i posti di lavoro. È fondamentale che dopo questa crisi tutti i salariati possano continuare a lavorare. Licenziare ora, vorrebbe dire aggravare ulteriormente la situazione.


Il Consiglio federale ha deciso di allentare le norme di protezione della legislazione sul lavoro per il personale ospedaliero in modo da consentire maggior flessibilità negli orari di lavoro e nei tempi di riposo. E in alcuni Cantoni sono stati estesi gli orari di apertura dei negozi. Non sarebbe invece il caso di ridurli per alleggerire un’altra categoria di lavoratori al fronte in questa crisi?
In questa crisi esiste effettivamente un rischio di deregolamentazione (che tocca anche il personale della logistica e dei trasporti), quando in realtà si dovrebbe piuttosto regolamentare per meglio proteggere i salari. L’allentamento del diritto del lavoro con provvedimenti d’urgenza deve essere ben fondato, limitato nel tempo e convenuto con i partner sociali. La maggior parte delle liberalizzazioni non hanno semplicemente alcun senso nella situazione attuale e sono anzi addirittura controproducenti: l’estensione degli orari di apertura dei negozi incitano la gente a uscire di casa. È un segnale negativo e pericoloso. Inoltre, l’esperienza italiana mostra che bisognerebbe piuttosto ridurre gli orari, anche per una questione di igiene e di tempi per le pulizie.


L’80 per cento dell’economia continua a funzionare, si è vantato settimana scorsa il consigliere federale Guy Parmelin...
Molte persone fanno del telelavoro, il che non è però scontato quando si hanno per esempio dei bambini che non vanno a scuola. Non si può pensare di continuare a lavorare al medesimo ritmo con tutti i problemi che si pongono oggi. Vi sono anche rischi reali legati al telelavoro, come l’isolamento, lo stress eccetera. Esso non è dunque la soluzione a tutto.


L’ampiezza della crisi che stiamo vivendo non deriva anche dalle politiche di liberalizzazione e di privatizzazione dei servizi pubblici? Mancanza di effettivi, di infrastrutture e di materiale di cura, industrie e savoir-faire smantellati con le delocalizzazioni e i licenziamenti di massa…
Questa crisi dimostrerà una cosa: il primo e più importante compito è quello di assicurare la solidarietà e la sicurezza sociale. Risparmiare nei settori essenziali per l’insieme della società è da incoscienti. Al contrario, servono più investimenti nei settori delle cure, del sostegno alle persone e nel servizio pubblico. E migliori condizioni di lavoro e salari dignitosi, in questi ambiti e in tutti gli altri, come nel commercio al dettaglio per esempio. Sono settori professionali tipicamente femminili, con salari bassi. Queste lavoratrici sono oggi le più sollecitate e le più esposte: subiscono pressioni enormi, come peraltro era già il caso anche prima. Oggi si percepisce come siano fondamentali per l’intero sistema. Mi auguro che dopo la crisi la società realizzi questa cosa e che vi sarà un rafforzamento del settore e una rivalorizzazione di queste professioni. Questa sarà una priorità per Unia.

Pubblicato il

26.03.2020 17:08
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