Venti di sabbia

«Narra una leggenda araba che in qualche luogo del deserto è nascosta la porta d’ingresso al cuore del mondo». Chi vuole trovarla deve penetrare il deserto e accettare di correre il rischio e le incognite di un ambiente mutevole i cui orizzonti sfumano non appena li si raggiunge. E nel deserto si addentra la poliedrica rassegna in corso in diverse città del cantone. Con un titolo che apre lo sguardo in diverse direzioni: Il grande vuoto: il deserto tra realtà e metafora. Per mettere in piedi il progetto, gli organizzatori hanno coinvolto diverse associazioni, circoli del cinema, istituti ed altro che hanno contribuito a dar forma ad un programma vasto e ricchissimo di spunti ed occasioni d’incontro. Mostre, cinema, musica, conferenze intorno all’universo deserto e ai suoi mille volti. Gli appuntamenti hanno preso il via lo scorso 14 settembre a Locarno con la rassegna cinematografica e si protrarrà, ad appuntamenti regolari, fino all’8 novembre 2001. Alle radici di questa rassegna c’è più di un’idea ispiratrice. «La molla – spiega Theo Mossi del comitato organizzatore – che ha dato il via al progetto è la passione per il deserto che accomuna alcuni di noi organizzatori. Inoltre, nel mondo dei consumi, il deserto rappresenta la parsimonia. Se escludiamo quei luoghi ricchi di pozzi petroliferi, i deserti di solito sono ricchi soprattutto di un elemento: la sabbia. Nel deserto c’è poco e per viverci dentro bisogna imparare a ridurre all’essenziale i propri bisogni, senza per questo diventare neo-autarchici o ritornare indietro nella scala del tempo. Insieme a tutto ciò, desideriamo anche far riscoprire l’aspetto simbolico e metaforico del tema». La manifestazione non si limita dunque al solo approccio geografico e antropologico ma contempla diverse sfaccettature di una visione poliedrica del deserto. «Tocchiamo – continua Mossi – anche l’aspetto religioso del tema, sviscerato nel corso di una serata da tre studiosi e rappresentanti delle religioni monoteiste che sono il cristianesimo, l’ebraismo e l’islam. In ambito religioso il deserto è la tabula rasa che ti permette di riscrivere la tua storia, di ricominciare daccapo. Al deserto si associa l’immagine della verginità ma anche quella della sterilità». Un tema come quello del deserto dà le vertigini per la sua vastità, spaventa in quanto luogo sconfinato che tutto accoglie ma anche dove tutto può perdersi… «Già nel titolo – conferma Mossi – “Il grande vuoto” (che è la traduzione di “Sahara”, in una variante regionale dell’arabo), sembra racchiudere questo senso di enormità e di vertigine, appunto. Il deserto produce anche un senso di smarrimento, disorientamento anche se oggi col Gps (Global position system) non ci perdiamo più, almeno geograficamente parlando… Ma lo smarrimento produce anche il desiderio di ritrovare una strada, di esplorare il territorio». L’immagine del deserto come luogo di smarrimento sfuma in quella di terreno di ritrovo e di scoperte, non luogo e al contempo vuoto fecondo dove è possibile la ricostruzione. Il deserto come contrapposizione all’affollamento calamitato intorno al consumismo. «Con questa rassegna – dice Mossi – vorremmo guardare al qua e al di là del confine deserto. Allo stesso modo, lo scorso anno quando proponemmo il progetto multiculturale sull’invisibilità cercammo di avere diversi punti di vista nel guardare al tema. Così come l’invisibilità non ha solamente una connotazione negativa (gli invisibili come persone dimenticate, nascoste, volutamente rimosse dalla società), così anche il deserto fluttua su due fronti che comunque appartengono alla sua sfera semantica. Perdersi non significa necessariamente la fine, può essere salutare e interessante perché significa perdere i vecchi parametri con cui ci si posiziona nel mondo. Ma può anche essere tragico perché in taluni casi perdersi significa morire». Nell’organizzare la rassegna sono stati coinvolti etnologi, etnografi, geografi, artisti e fotografi ognuno dei quali offre una prospettiva diversa del deserto: il dubbio che possa insinuarsi il rischio della dispersione in questa molteplicità di indicazioni proposte. «Vogliamo – interviene Theo Mossi – “scardinare” il tema del deserto, non abbiamo alcuna intenzione di dare un’immagine cristallizzata di un mondo reale e simbolico che per sua natura fluttua tra significati talvolta opposti fra loro». Come il deserto che, a seconda dei venti e delle tormente, modifica il suo paesaggio di dune ritratteggiando la sua fisionomia con la materia di sempre: la sabbia.

Pubblicato il

21.09.2001 06:00
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