Affari nostri

In inglese c’è una espressione per dirlo: “character assassination”, ovvero come t’ammazzo un personaggio. Un terribile destino che è toccato in sorte a Julian Assange. Co-fondatore di WikiLeaks, dieci anni fa l’australiano era corteggiato dai media planetari. Se siete anglofoni, andatevi a rivedere l’intervista con applausi a scena aperta per Ted (https://tinyurl.com/qw3kyp3). Assange è magro, gentile e si direbbe un po’ naif. Già all’epoca, nonostante gli allori, i cronisti sottolineavano come il ragazzo fosse “paranoico”, con quel suo pallino per la segretezza, fissato che gli Stati Uniti gliel’avrebbero fatta pagare per avere mostrato al mondo questi crimini di guerra (https://tinyurl.com/jqgaf25). Nessuno gli ha creduto. Indi venne il caso svedese. Alzi la mano chi non è convinto che Assange forse è uno stupratore. C’è che la versione dei media è stata devastatrice, quanto imprecisa. Nulla di meglio per distruggere una reputazione. Di per sé, una femminista come me non può che essere d’accordo – sono crimini indegni e certo che bisogna ascoltare le presunte vittime e le procedure devono fare il loro corso. Ma c’è un problema in questa storia, raccontato magistralmente nel lontano 2012 in un documentario d’inchiesta della Tv australiana Abc (https://tinyurl.com/y45kn8q3). C’è che il caso svedese è punteggiato di molti bizzarri eventi. Per parlarne con cognizione di causa, poi, tocca studiare la legislazione in materia del luogo. È considerata la più severa e la più strana del mondo. In un caso, dunque, il presunto reato sarebbe non avere utilizzato un preservativo durante un rapporto sessuale consensuale, mentre nell’altro, in causa ci sarebbe la rottura di un preservativo. Assange ha sempre negato ogni addebito. Ho ormai una certa età e i dettagli del pasticcio svedese mi lasciano – come donna - molto perplessa. Come giornalista, confesso che ogni volta che ci penso, mi viene la gastrite. I media hanno fatto un pessimo lavoro, copiando e incollando la parola stupro senza farsi nessuna domanda. Pensate che Assange non è mai stato neanche incriminato. Nove anni in un limbo giuridico, se succedeva in Corea del Nord eravamo tutti qui a condannare cotanta iniquità. In questo caso, invece, ci siamo accontentati della macchina del fango. Nel frattempo la legislazione svedese è stata indurita. Adesso, mi dice un giornalista del Paese, prima di fare l’amore con tua moglie devi chiederle: Consenti? E a rapporto sessuale concluso: Eri d’accordo? Incredibilmente, la legge non prevede prove, non servono firme, né registrazioni. Mi fa paura, sempre, quando si interviene sui fatti culturali a colpi di codice penale. Il mio collega sostiene però che solo così possiamo curare una società malata di machismo. Con tutto l’orrore per la violenza sulle donne, ammetto che non riesco a mettermi nella forma mentis svedese. Tornando ad Assange, se leggete gli atti scoprirete che le due donne non l’hanno in effetti mai accusato di stupro. I giornali? Non ne hanno parlato. Dal primo giorno, poi, l’australiano ha suggerito che dietro alle reticenze della Procura di Stoccolma ci fosse la lunga mano degli americani. E ancora una volta, tutti a scrivere: il ragazzo è paranoico. La giornalista italiana Stefania Maurizi ha ottenuto documenti preziosi utilizzando la Legge sulla trasparenza svedese. Nero su bianco, ecco a noi le inspiegabili pressioni del Regno Unito sulla Svezia perché tenesse Assange nel limbo (https://tinyurl.com/u9r8xqa). Oggi è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, in attesa di essere estradato negli Stati Uniti che lo vogliono condannare a 175 anni di carcere per aver rivelato crimini di guerra. Insomma, non era paranoico. Nils Melzer, che per l’Onu si occupa di tortura, sostiene che Assange ne porta tutti i segni. Non so voi, io mi ribello ad un mondo in cui rivelare fatti di interesse pubblico significhi rischiare la vita. Per questo, insieme ad altri giornalisti d’inchiesta, ho lanciato questa iniziativa: https://speak-up-for-assange.org. Perché la verità e la giustizia sul caso Assange sono decisamente affari nostri.

Pubblicato il 

16.01.20

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