Il portaledi critica socialee del lavoro
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Usare le imposte pagate dai cittadini per garantire profitti ai padroni di scuole e cliniche private, rendere sempre più dipendente dal reddito l'accesso al servizio pubblico e indebolire ulteriormente i diritti dei lavoratori impiegati in questo settore. Sono gli “ingredienti” di una nuova ennesima offensiva neoliberale che, in gran segreto e al di fuori di ogni confronto democratico, si sta consumando a Ginevra nei negoziati per un Accordo sul commercio dei servizi nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Cave presidiate da agenzie di sicurezza private, operai presi per mano quasi fossero dei bambini da accompagnare all’interno dei cancelli per sfuggire alle tentazioni dei cattivi sindacalisti. Scalpellini fatti entrare furtivamente a notte fonda dai sentieri nei boschi per iniziare a lavorare alle quattro del mattino. È parte del bollettino da “guerra di classe” della giornata di sciopero di lunedì 16 giugno, voluto per rivendicare il ripristino di un contratto collettivo di lavoro nel granito disdetto dall’associazione padronale (Aitg) due anni e mezzo or sono.
Sabato 14 giugno in Ticino è stata ufficialmente costituita l’Associazione “Noi ci siamo!”, a sostegno della ricerca per la Fibrodisplasia Ossificante Progressiva (Fop), una malattia rara che colpisce circa una persona su due milioni e che quindi resta poco conosciuta (anche dai medici) e fatica a trovare fondi per la ricerca. L’associazione nasce dalla presa di coscienza di una famiglia ticinese della necessità di far conoscere questa e altre malattie rare, per fare in modo che le persone colpite e i loro famigliari non si sentano più soli nell’affrontare gli ostacoli che una diagnosi di questo tipo pone.
Non si deve morire di lavoro. Pare un’ovvietà, ma non lo è. Troppi ancora gli infortuni professionali causati da turni logoranti e misure di sicurezza lacunose. Dal terribile incidente accaduto in Riviera, dove lo scorso settembre un giovane ha perso una gamba e un rene, nasce l’associazione “Aiuto alle famiglie di vittime sul lavoro”. Perché è un problema di tutti.
Domenica scorsa, nell’euforia per la rocambolesca vittoria sull’Ecuador nella sua prima partita ai mondiali in Brasile, di certo la nazionale svizzera non ha prestato attenzione a una particolarità (quasi) unica del teatro della sua impresa: aver giocato nello stadio più caro del mondo dopo quello londinese di Wembley, ricostruito nel 2007 al costo di 918 milioni di euro, e dopo lo Yankee Stadium di New York, inaugurato nel 2009 e costato 1100 milioni di euro.
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