Affari nostri

Ci avrete fatto caso, le questioni federali elvetiche sono il trionfo dell’acronimo. Tutte diventano un’accozzaglia di lettere, talvolta misteriosa, sempre declinata in quattro lingue. Non fa eccezione la nuova legge sulla protezione dei dati: in italiano e francese nLPD, in tedesco revDSG e in inglese nFADP. Berna ha messo a punto un sito per spiegarne le conseguenze, rilevanti per gli affari nostri e per chi gestisca un’azienda o organizzazione.


C’è che con la nLPD, la cittadinanza acquisisce nuovi poteri in materia di controllo dei dati personali. Diventa più semplice scoprire quali siano archiviati nei siti di istanze pubbliche e private, e sono stati introdotti meccanismi che dovrebbero rendere meno complicato ottenerne la cancellazione. Il condizionale è d’obbligo, perché prima di tutto dovresti studiarti il sito ospitato in quello dell’Incaricato federale per la protezione dei dati (IFPDT). Ad aziende, testate e organizzazioni, la legge porta in dote un pacchetto di obblighi. Dal primo settembre, i siti svizzeri devono contenere messe in guardia ad hoc. Non solo indicare la persona responsabile per gestione e cancellazione dei dati raccolti, ma anche spiegare quali siano e che uso ne venga fatto. Data la complessità della materia e della nLPD, buon senso vuole che ci si faccia aiutare da uno specialista, per esser certi che il proprio sito sia in regola con la nuova legge. Gli studi di informatica e di affari giuridici digitali devono essere al momento davvero molto occupati. La questione dei dati personali è d’altronde centrale ai giorni nostri. Perché come le Cassandre da decenni hanno previsto, sono il nuovo petrolio. Ma la protezione della sfera privata e dei nostri diritti come consumatrici e consumatori passa per un handicap, quello di sempre: per difenderti, anzitutto devi studiare, poi trovare il tempo per applicare quello che hai capito, e spesso anche avere i denari per pagare consulenti che ti aiutino. Con un anglicismo ormai d’antan, si parla di “digital divide” − la frontiera fra chi riesce a gestire le questioni tecnologiche e chi invece deve tormentare nipoti, amiche e colleghi. Come sempre, insomma, vince chi ha più risorse.

 

Fra la pensionata analfabeta informatica e una grande azienda, non c’è dubbio su chi ne esca meglio, anche con nuove mirabolanti leggi in nome dell’interesse pubblico. Un esempio interessante riguarda le telecamere di sorveglianza. Sono in grado di fare tante cose, alcune preziose per chi trasforma le identità in profitto. Quelle di stazioni, aeroporti e negozi sono dotate di strumenti che sfruttano la biometrica. Non dobbiamo quindi pensare a una semplice immagine, ferma o in movimento. I nuovi spioni sono in grado di raccogliere una gran quantità di dati, una manna per lo sfruttamento dell’essere umano come macchina per fare soldi. L’esempio più sorprendente è forse quello di taluni supermercati. Le telecamere servono per la sicurezza: proteggere prodotti, utenza e personale. Tuttavia, quelle dei giorni nostri sanno fare altre cose. Per esempio, profilare la clientela: quanti anni hai, qual è il tuo genere, quanto tempo ti fermi davanti a uno scaffale, cosa compri? Ogni registrazione porta con sé data e orario che, accoppiati ai dati della “tessera fedeltà” e dell’istante in cui hai pagato, magari con una carta, consentono di identificarti e archiviare le tue preferenze. Mi direte, ma in fondo che ce ne importa? Vale il principio di sempre: le raccolte di dati non pongono problemi finché “tutto va bene”. Ma se qualcosa va storto, diventano una dannazione.

Pubblicato il 

14.09.23

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