Peja (Kosovo), 27agosto 2002 “Mio zio tornerà in Italia la settimana prossima”, commenta Adrian amareggiato. Suo zio lavora in Italia nella provincia di Treviso da dieci anni. Un lunghissimo viaggio gli ha fatto attraversare mezza Italia, il mare Tirreno, il Montenegro per arrivare infine in Kosovo. Lui e la sua famiglia parlano perfettamente italiano, stanno spianando il giardino, costruendo la loro casa. Forse un giorno vorranno tornare. «Magari sì, – dice il padre di famiglia – ma la situazione non è ancora stabile al cento per cento. Il problema principale è che non c’è lavoro per nessuno, come posso nutrire la mia famiglia?». Effettivamente il Kosovo sopravvive grazie agli emigrati. Sono sparsi in tutta Europa e mandano regolarmente soldi alla “famiglia allargata” (zii, cugini, nonni appartenenti allo stesso clan). In estate si vedono sulle strade della Macedonia, nei villaggi del Montenegro vicino a Kumanovo in Macedonia e sulle montagne del Kosovo ovunque automobili immatricolate in Italia, Germania e soprattutto Svizzera. Moltissimi si sono infatti sparsi prima e dopo la guerra in tutti i Cantoni elvetici. «Da dopo la guerra veniamo ogni anno in vacanza qui in Kosovo», dice Amira infermiera da venti anni nel cantone di Svitto. «Lasciamo la macchina a Djakova dai parenti e prendiamo il volo diretto per Prishtina». Quotidianamente la compagnia area Swiss collega Prishtina e Skopje a Zurigo. Altre compagnie svolgono lo stesso servizio da Zurigo, Berlino, Francoforte, Colonia, ecc. «Le cose vanno molto meglio ma comunque non è facile vivere in Kosovo, io sono da troppi anni in Svizzera per abituarmi al modo di vita nel mio paese» così il marito di Amira. Ogni estate le povere economie del Kosovo, della Macedonia e del Montenegro rifioriscono. Le rimesse degli emigrati si riversano nell’economia locale: mercati, negozi, ristoranti e soprattutto matrimoni. Ad ogni angolo musica tradizionale, macchine incolonnate (targate CH), balli e canti tradizionali. Tutta la famiglia allargata si ritrova e grazie ai soldi portati dall’estero si celebrano le nozze (da 10 mila a 100 mila euro per festa). L’estate quindi rimane e rimarrà il momento di incontro tra gli “espatriati” e i “locali”, un momento che sicuramente non porta solo cambiamenti economici ma anche contributi sociale e alla democrazia. Agron tornato dall’Austria lavora in una Ong che si occupa della democratizzazione del Kosovo. Si reca giornalmente in villaggi di montagna e isolati per organizzare seminari e incontri in modo da diffondere il senso di appartenenza alla società civile (quello che gli antropologi e sociologi chiamano civil society). Mimosa – da sedici anni in Germania – esce da sola la sera suscitando l’invidia delle cugine di Kumanovo in Macedonia. «Sono riuscita a far uscire anche le mie cugine», dice orgogliosa Mimosa. Chi vive, da prima o dopo la guerra, in Svizzera, Italia, Austria o Germania porta con sé anche valori fondamentali che forse un giorno faranno ritornare i Balcani agli antichi splendori.

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30.08.02

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