Reportage

Chi oggi arriva a Desio, cittadina industriale alle porte di Milano, sede produttiva fino al 1992 dell’Autobianchi, difficilmente potrebbe credere alle parole del grande Stendhal. Nel 1816, lo scrittore francese, innamorato dell’Italia, passò proprio da Desio e scrisse nei suoi diari: «26 settembre. Ho ritrovato l’estate: è il momento più suggestivo della bella Italia. Sono andato a Desio, un giardino delizioso, dieci miglia a nord di Milano, ai piedi delle Alpi». Oggi di quel giardino è rimasto solo un fazzoletto, ovvero il Parco di Desio, adiacente alla (bellissima) villa Tittoni, dove il passionale Stendhal trascorse ore liete con il suo grande amore di allora: la nobildonna Matilde Dembowski Viscontini. Oggi Desio è diventata invece una delle tante città della provincia di Monza e Brianza soffocate dal cemento e da uno sviluppo urbano senza troppe regole o vincoli. Monza e Brianza è infatti la provincia meno virtuosa in Italia per consumo di suolo. Secondo le ultime rilevazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), a Monza e Brianza la copertura artificiale di suolo raggiunge il 41% e supera di gran lunga le province di Milano (32%), Varese (20%) e ben del 34% la media italiana (7,1%).

 

Un mostro di cemento

 

Accanto a Desio, c’è il comune più cementificato di Lombardia, tra i più “grigi” d’Italia, ovvero Lissone (71%), una città governata quasi sempre dalle destre, che negli ultimi tre decenni hanno messo il turbo agli imprenditori edili locali. Una politica che, dati alla mano sugli immobili perennemente vuoti, non nasce certo da un bisogno di abitazioni da parte della popolazione. Proprio tra Desio e Lissone potrebbe sorgere – utilizziamo il condizionale, anche se molti sono convinti sia ormai cosa fatta – uno degli svincoli autostradali più imponenti d’Europa, un autentico gigante di cemento incuneato in una delle pochissime aree verdi della zona tra le due cittadine. Si tratterebbe di uno degli snodi fondamentali dell’autostrada Pedemontana, perché qui la nuova arteria s’incrocerebbe con la trafficatissima Statale 36, che da Milano arriva direttamente in Svizzera, ovvero al Passo dello Spluga. Pedemontana è un’idea pensata qualche decennio fa, che prevede di collegare il varesotto con la bergamasca, passando proprio per i territori altamente antropizzati e inquinati del comasco e della bassa Brianza. Un progetto piuttosto datato che, stando ai fautori, avrebbe diversi obiettivi, tra cui quelli di potenziare la mobilità su gomma est-ovest in Lombardia e di alleggerire il traffico sulle tangenziali di Milano. L’autostrada oggi esiste già come collegamento trasversale tra la Milano-Varese, la Milano-Chiasso e la Milano-Meda, ma si interrompe a Lentate sul Seveso. Da qui dovrebbe proseguire. Se questo prolungamento fosse davvero realizzato, ciò potrebbe aumentare ulteriormente la pericolosità idraulica dei territori interessati, soprattutto in caso di piogge torrenziali o alluvioni, e ostacolare ancor più la ricarica delle falde acquifere. Un tema scottante in questo momento in Italia dopo che i nubifragi degli scorsi giorni, sempre più frequenti a causa del riscaldamento climatico, hanno creato morte e devastazione in Emilia-Romagna, regione meno antropizzata della Lombardia.

 

Il malcontento

 

Per fermare la costruzione di questo svincolo e dell’intera autostrada, a Santa Margherita, frazione di Lissone confinante proprio con Desio, è nato il Comitato per la difesa del territorio. Un gruppo creato qualche mese fa che ha però già organizzato diverse iniziative di sensibilizzazione rispetto al tema e una grande catena umana nel luogo in cui dovrebbe sorgere lo svincolo tanto temuto. Abbiamo seguito le attività del comitato, fondato a inizio 2023, che sono culminate in una grande manifestazione di fronte alla Regione Lombardia lo scorso 10 giugno. Qui si sono date appuntamento, infatti, tutte le organizzazioni territoriali e ambientaliste che si oppongono all’autostrada. Sull’autobus in direzione Milano abbiamo sentito Luigi De Vincentis, una delle personalità più attive all’interno del comitato, che ci ha spiegato le ragioni del suo attivismo: «Siamo un gruppo eterogeneo, indipendente dai partiti, e abbiamo intenzione di fermare il progetto di Pedemontana. È un progetto inutile, dannoso e pericoloso. Diciamo no a uno svincolo mostruoso su tre piani che passerà di fronte alle nostre case, che devasterà la nostra frazione, ma chiediamo anche un altro modello di sviluppo. I fiumi di denaro spesi per Pedemontana dovrebbero andare a forme alternative di mobilità, alla scuola pubblica, al sistema sanitario. Il progetto di Pedemontana è vecchio di decenni, è fuori tempo massimo, e rischia di aggravare, invece di risolvere, la situazione della mobilità locale». Il problema fondamentale di Pedemontana, come le attuali tratte dimostrano, è il prezzo elevato del pedaggio. Chi oggi si sposta, ad esempio, sulla gratuita Milano-Meda, in procinto di diventare un tratto di Pedemontana, trovandosi di fronte a un pedaggio elevato sarà costretto a cercare alternative locali, creando ulteriori ingorghi sul sistema viario locale. A dirlo non sono solo gli attivisti, ma uno studio del 2015 commissionato dalla Provincia di Monza e Brianza.

 

La manifestazione

 

A Milano si sono ritrovate oltre 300 persone di fronte alla nuova sede di Regione Lombardia.  Lo slogan cantato a squarciagola da tutti parafrasava «C’è chi dice no», brano celebre e ribelle di Vasco Rossi. Oltre a De Vincentis, hanno preso parola una dozzina di esponenti dei comitati locali e i giovani del Friday for Future di Monza e Brianza. Tutti quanti hanno messo in rilievo gli aspetti negativi dell’intera Pedemontana, ma allo stesso tempo hanno posto l’attenzione sulle problematiche locali del progetto. Presente anche Giovanna Gattel, del comitato No Pedemontana di Lesmo, l’unico comune che ha deciso di mettere i bastoni tra le ruote a Pedemontana: «Il nostro sindaco Francesco Montorio ha deciso di ricorrere alle vie legali, ovvero al Tar, a causa di alcuni vizi procedurali legati alla dichiarazione di pubblica utilità del progetto». Un ricorso a cui si aggrappano le speranze dei manifestanti. L’esito lo si conoscerà a breve, ovvero il 14 luglio. Anche i territori del vimercatese erano presenti alla manifestazione. Per mancanza di denaro pubblico, si è deciso infatti di non arrivare direttamente nella bergamasca, ma di far confluire Pedemontana a questa altezza nella A4 Milano-Venezia attraverso una variante chiamata D breve. Per Manuela Meloni, dei comitati del vimercatese, «si verrebbe così a creare una grande strada a pagamento parallela alla Tangenziale Est, gratuita; un paradosso che comporterebbe la devastazione del Parco Pane, una delle poche zone agricole della bassa Brianza». La variante D breve è il segnale dei problemi economici a cui deve far fronte Pedemontana Spa. L’idea di un finanziamento pubblico-privato dell’autostrada è infatti naufragata e la mano pubblica deve far fronte, stando ai dati forniti dai comitati stessi, a spese che sfiorano i 2 miliardi di euro.

 

Il pericolo diossina

 

In prima linea contro Pedemontana, e questo ormai da anni, c’erano anche le organizzazioni ambientaliste di Meda e Seveso, due comuni legati a una delle catastrofi ambientali più drammatiche dello scorso secolo: il disastro dell’Icmesa del 1976, che causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina Tcdd, una sostanza chimica fra le più tossiche, che colpì gravemente la popolazione e andò a contaminare i terreni, che furono poi bonificati soltanto nella zona più inquinata. A prendere la parola è stato Alberto Colombo, di Sinistra e Ambiente di Meda, che ha ricordato: «La tratta di Pedemontana, la cosiddetta B2, da Lentate sul Seveso a Cesano Maderno, attraverserebbe aree dove è ancora presente la diossina del disastro Icmesa del 1976. L’analisi chimica dei suoli negli anni recenti ha rilevato contaminazioni residue diffuse superiori ai limiti di legge in ben 129 campionamenti. Appare evidente un rischio per la popolazione in caso di movimentazione dei terreni risultati contaminati, con un piano operativo di bonifica, approvato dalla regione Lombardia nel 2019, insufficiente e senza solide garanzie di sicurezza».

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

    

 

Pubblicato il 

22.06.23
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