A volte ritornano, o per meglio dire non se n’erano mai andati. Passi una vita a elaborare il lutto, a governare un incubo cercando di addomesticarlo quando all’improvviso riappare con tutta la sua ferocia, e nel pensier rinnova la paura. Così mi sono sentito, di nuovo, quando ho letto che il partito di Giorgia Meloni ha iniziato le grandi manovre per portare nel consiglio d’amministrazione della Rai Guido Paglia, uno dei soci fondatori di Avanguardia nazionale e presidente dell’organizzazione fascista quando il suo faro Stefano delle Chiaie fu costretto alla latitanza; Paglia, che ha come riferimento la Repubblica sociale di Mussolini, come lui stesso ha scritto ed è stato amico e collaboratore dei colonnelli golpisti greci, è stato un attore non di secondo piano del terrorismo nero a cavallo degli anni Sessanta e Settanta. A partire dalla strage di piazza Fontana. Di amici Guido Paglia ne aveva molti, soprattutto dentro il sistema spionistico di Stato – li chiamano servizi deviati ma ancora oggi, dopo più di mezzo secolo, si fatica a individuare quelli retti - e lui stesso prestava i suoi servigi al Sid con il nome di copertura di Parodi. Al tempo, come hanno documentato innumerevoli cronache e sentenze giudiziarie, quei servizi di cui Paglia era pedina erano usi servirsi della manovalanza fascista per tessere le loro trame, compiere attentati, avvelenare la vita politica e sociale italiana al fine di demolire la democrazia, fermare con il piombo e la dinamite il movimento operaio, studentesco, sociale che stava cambiando il volto del Paese. Lavorò alacremente con i servizi segreti e la teppaglia fascista per costruire le condizioni per una svolta violenta. Fascista.


Guido Paglia è un giornalista preveggente. Se gli aruspici erano capaci di leggere il futuro nelle viscere degli animali, lui era in grado di conoscere il contenuto del documento cifrato trovato a Svolte di Fiungo, nei pressi di Camerino, prima che esso venisse decriptato e già l’indomani del ritrovamento aveva firmato sul Resto del Carlino un articolo informatissimo dove mancavano soltanto i nomi della mitica “brigata rossa marchigiana”, ma lasciava intendere di conoscerli perfettamente indicandone caratteristiche e luoghi di provenienza. Era stato trovato un arsenale di armi vecchie e nuove, mitragliatrici, mine, timer, tritolo, bombe a mano con contorno di carte d’identità rubate, obiettivi militari e civili e persino l’elenco degli aderenti e capi della presunta brigata rossa. Era il 1972, le Br erano agli albori. Guido Paglia non sa spiegare ai giudici da dove gli venisse tale capacità divinatoria, forse un dono di natura. Giorni dopo il ritrovamento, effettuato grazie alla professionalità del capitano dei carabinieri D’Ovidio che gli valse il lasciapassare per i vertici del Sid, partì una caccia alle streghe contro tutti e tutto ciò che di sinistra si muoveva intorno all’Università di Camerino ma che con la violenza e il terrorismo nulla aveva a che fare. La decriptazione confermava tutto ciò che il preveggente Paglia aveva scritto sul Resto del Carlino. Fu così che venni additato come uno dei capi delle nascenti Br e fui costretto a vagare latitante lungo lo Stivale facendo di tutto per vivere, compreso il collaudatore di automobili sotto falso nome (soprattutto alla guida della Zigulì, un modello speciale della 124 Fiat costruita nello stabilimento sovietico di Togliattigrad. Ma questo è stato l’unico aspetto piacevole di un’esperienza terribile). Ci sono voluti anni prima che il teorema costruito dal Sid venisse smontato definitivamente e venisse fatta se non luce almeno penombra sulle trame fasciste di Svolte di Fiungo. L’arsenale l’aveva costruito lo stesso capitano D’Ovidio che l’aveva scoperto insieme a spioni di stato e camerati; comparvero i nomi illustri di Maletti, Miceli, Labruna, persino Freda e Ventura; lo stesso Stefano delle Chiaie dalla sua latitanza spagnola favorita e coperta dal Sid aveva confermato in un’intervista il colore dell’arsenale di Camerino: nero come la pece. Nero come lui. Nero come Guido Paglia. La vicenda compare con un capitolo a parte nella più accurata delle inchieste sulla strage di Piazza Fontana con nessi e connessi effettuata dal giudice milanese Guido Salvini.

 

La vivacissima vita politica e giornalistica di Guido Paglia inizia nell’Avanguardia nazionale di Delle Chiaie, organizzazione terrorista di estrema destra implicata in aggressioni attentati e stragi, sciolta nel ’76 dopo numerose condanne di suoi attivisti e dirigenti per ricostituzione del partito fascista sulla base della legge Scelba. Paglia scrive sul Carlino, la Nazione, il Giornale, il Mattino, è capo delle relazioni esterne della Lazio targata Cragnotti, poi responsabile della comunicazione della Cirio, scrive saggi sulla X Mass di Borghese e sulla Repubblica sociale italiana, sta con Giancarlo Fini e poi contro di lui, risorge sia con Gasparri che con Storace, nell’era Montanelli è responsabile del Giornale a Roma e vicedirettore, fino a diventare direttore della comunicazione, relazioni esterne e rapporti istituzionali alla Rai dal 2002 al 2012. Riesce a passare tra una goccia l’altra, cioè tra un’inchiesta e l’altra, tra un processo e l’altro, senza bagnarsi. Ora esercita la professione si fa per dire giornalistica e sicuramente come esperto di dossieraggi su un giornale online (Sassate.it), recentemente in difesa del suo amico Guido Crosetto, ministro della guerra, che con la sua denuncia ha messo in moto un cancan politico e giudiziario sugli accessi informatici abusivi di cui sarebbe rimasto vittima insieme a migliaia di altre persone.

 

La campagna per la fascistizzazione della Rai ha riportato i riflettori sulla figura di Guido Paglia e sul suo ruolo nell’affaire Camerino che ho raccontato nel libro “L’arsenale di svolte di Fiungo”, un romanzo autobiografico pubblicato dall’editore Manni nel dicembre 2020. Un libro che ho scritto sperando di mettere la parola fine su un capitolo tragico della mia storia personale e di una storia collettiva di questo martoriato paese. Ma aveva ragione Umberto Eco descrivendo “Il fascismo eterno” dell’Italia. Dunque, il problema non è che i fascisti a volte ritornano, è che non se ne sono mai andati. Così come Guido Paglia.

Pubblicato il 

22.03.24

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