L'editoriale

La Svizzera è campione europeo in materia di stress sul lavoro, soprattutto a causa dei ritmi elevati e della pressione delle scadenze cui sono confrontate le lavoratrici e i lavoratori. Il poco rallegrante primato risulta dai dati dell’indagine europea sulle condizioni di lavoro 2021, che rileva un peggioramento della situazione rispetto a 10 e a 20 anni fa, con una buona metà della popolazione attiva del nostro paese esposta a dei rischi psicosociali e di altra natura. Una situazione allarmante che richiederebbe interventi tesi a ridurre lo stress. E non misure di smantellamento della protezione della salute sul lavoro, come prevedono vari progetti in cantiere o in discussione a livello politico.


L’indagine EWCS (European Working Conditions Survey) sulle condizioni di lavoro nel continente, di recentissima pubblicazione e che in Svizzera è stata curata dalla Segreteria di Stato per l’economia, ci dice che il 27 per cento dei salariati di questo paese (il 30% tra le donne) ritiene il proprio carico di lavoro incompatibile con le risorse psicofisiche disponibili. Quasi un quarto degli intervistati afferma addirittura di sentirsi poco sicuro o la sua salute messa in pericolo nello svolgere il lavoro: una situazione particolarmente diffusa nei settori dell’edilizia, dell’industria e nell’ambito delle cure, della ristorazione e della logistica. E una maggioranza del 55% denuncia di soffrire di disturbi dell’apparato locomotore (mal di testa, mal di schiena, dolori muscolari).


Ma in questa classifica europea la Svizzera si distingue soprattutto per l’intensità del lavoro e per le pressioni che il lavoratore subisce a causa della mancanza di tempo e del rispetto dei termini imposti. Il 59% (contro il 49% a livello europeo) lo denuncia come un problema. Anche perché questo porta oltre un terzo dei salariati a lavorare durante il tempo libero per poter soddisfare le richieste di produttività, con tutto ciò che questo comporta a livello di stress e di sovraccarico e dunque di salute psicofisica.


Questi risultati non sono sorprendenti. Che i lunghi tempi di lavoro, i ritmi e la pressione delle scadenze rappresentino un problema emerge regolarmente con chiarezza da tutti i sondaggi realizzati dal sindacato Unia. Come quello svolto tra 12.000 lavoratori dell’edilizia nel 2019. Tenuto conto che in Svizzera, con 42 ore settimanali in media, i tempi di lavoro siano già alti, i risultati dello studio EWCS sono allarmanti. Anche se per certi parametri (come la libertà decisionale, le opportunità di carriera e di codecisione), la situazione appare migliore che in altri paesi, di fronte a pressioni che mettono a rischio la sicurezza e la salute del lavoratore, s’imporrebbero interventi urgenti.

 

Bisognerebbe in particolare fare passi avanti nell’ambito della prevenzione dello stress ergonomico e andare verso una riduzione della durata delle giornate e delle settimane lavorative. Anche alla luce di una situazione in progressivo peggioramento, visto che i lavoratori esposti a stress e rischi per la salute sono quasi raddoppiati negli ultimi 20 anni: il 27% nel 2000, il 34 nel 2010 e il 50 per cento nel 2021.


Purtroppo le risposte che sta dando la politica vanno perlopiù nella direzione opposta. Basti pensare ai tentativi di smantellamento della legislazione sul lavoro che sono in corso a livello federale, tesi a indebolire la protezione dai rischi psicosociali e ad aumentare ulteriormente il lavoro domenicale e notturno.

 

Ci sono numerosi atti parlamentari in discussione e lo stesso Consiglio federale ha in agenda (il progetto dovrebbe essere posto in consultazione entro fine novembre) un allentamento del principio che vieta il lavoro domenicale e una liberalizzazione degli orari di lavoro quando questo sarebbe «necessario per ragioni tecniche o economiche». Il che significherebbe settimane da 63 ore in tutta una serie di ambiti professionali e ancora più impiego di personale nei giorni festivi: interventi che andrebbero a colpire circa 150.000 persone (stando ai calcoli dell’Unione sindacale svizzera) e certamente a peggiorare il quadro descritto dall’indagine europea.

Pubblicato il 

31.08.23
Nessun articolo correlato