L'editoriale

Come quasi ovunque in Europa, anche in Svizzera le elezioni le ha vinte la destra e perse (nel suo complesso) la sinistra. E anche da noi il primo partito, seppur in lieve calo, è quello degli astenuti. È un risultato certamente preoccupante per la Svizzera sociale e progressista, ma non sorprendente e che va in qualche modo relativizzato. Il nostro non è “l’ultimo paese europeo ad abbracciare il populismo di destra alle urne”, come hanno scritto alcuni editorialisti dei media internazionali.

L’Udc ha infatti iniziato il suo percorso di crescita elettorale già nei primi anni Novanta (all’epoca raccoglieva poco più del 10% dei consensi) e dal 2003 è stabilmente e di gran lunga il primo partito del paese. Con il 27,9% di voti raccolti nelle elezioni federali di domenica, i democentristi hanno recuperato in parte il consenso andato perso quattro anni fa, riavvicinandosi al miglior risultato mai ottenuto (quasi il 30%), nel 2015. Questo ci dice che il calo di quattro anni fa è stato più che altro un incidente di percorso, determinato dal fatto che in quella fase (era l’anno dello sciopero mondiale per il clima e, in Svizzera, del secondo storico sciopero delle donne) la “congiuntura” era poco favorevole all’Udc e alla sua storica narrazione dello “straniero invasore e criminale”.


In questo 2023 l’Udc è invece riuscita a mobilitare il proprio elettorato, sfruttando abilmente il mutato contesto (anche internazionale) per alimentare paure e insicurezza e riproporre la sua unica e semplicistica ricetta per tutti i mali: “meno stranieri”. Un esercizio che le è riuscito certamente grazie alle sue capacità di propaganda e alla sua forza economica, ma anche al fatto che la narrazione dell’Udc è sempre più dominante nei grandi media, che in modo più o meno consapevole pure contribuiscono a seminare paure ingiustificate e dunque al successo della destra populista.

 

Si pensi a come in Ticino vengono ingigantiti i problemi di ordine pubblico provocati da alcuni ospiti del centro asilanti di Chiasso, una città che viene dipinta come se fosse il Bronx. O ai titoloni che leggiamo in queste settimane di guerra tra Israele e Palestina circa il rischio terroristico in Svizzera: “Un attentato non si può escludere”, ci viene raccontato con una certa insistenza, a margine delle cronache sulle azioni violente che ci sono state in Francia e in Belgio. E questa sarebbe una notizia? Esiste forse un paese o una località al mondo dove qualcuno è in grado di scartare con certezza un’eventualità di questo tipo? Questa è solo disinformazione e propaganda gratuita per l’Udc, che da parte sua ha saputo, complici le guerre e i movimenti migratori, riportare il “suo” tema al centro del dibattito e raccoglierne i frutti. Frutti che ha raccolto anche grazie alla retorica della libertà individuale, su cui è riuscita a capitalizzare consensi durante la fase del Covid, come unico partito di governo critico sulle misure sanitarie e le restrizioni imposte alla popolazione.

 

Questo dopo che la vicepresidente e “figlia d’arte” Magdalena Martullo-Blocher nella primavera 2020 si era presentata nell’aula del Consiglio nazionale con la mascherina chirurgica e la presidenza le intimò di togliersela o di lasciare l’aula, “per non disturbare l’andamento dei dibattiti” con questa “esagerazione” che potrebbe indurre “molte persone a pensare che la situazione sia peggiore di quella che è”, si leggeva nelle cronache parlamentari di quei giorni. Un episodio che ben dà la misura dell’incoerenza ma anche dell’abilità dell’Udc nell’apparire sempre, prima su un fronte e poi sull’altro, “sola contro tutti”. E in questo caso, visto che sappiamo come è poi andata a finire con la pandemia, anche dell’ingenuità e della scarsa lungimiranza di avversari e istituzioni.


Spostando lo sguardo verso sinistra è l’arretramento dei Verdi a fare notizia, anche se pure in questo caso, al di là degli errori che si possono imputare alla dirigenza del partito e ai suoi rappresentanti, per non essere stati capaci di mobilitare quell’elettorato (soprattutto giovane e femminile) che era stato la chiave del successo nel 2019 o di allargare lo spettro del proprio programma politico oltre la questione ecologica, il calo è quasi fisiologico nel contesto odierno. Le rivendicazioni e le soluzioni proposte in materia climatica, energetica e ambientale sono tendenzialmente impopolari, perché spesso per le cittadine e i cittadini comportano impegno, sacrifici, rinunce e costi.

 

A differenza delle semplicistiche ricette dell’Udc, che peraltro i problemi non li sa mai risolvere. Emblematica è stata la bocciatura della Legge sul CO₂ nel giugno 2021, l’anticamera della sconfitta di domenica scorsa e un chiaro segnale della fine (o forse solo di un rallentamento) dell’onda verde. E della necessità di coniugare le esigenze climatiche con misure socialmente sopportabili per le salariate e per i salariati, che devono fare i conti con l’erosione del potere d’acquisto. Di qui lo scetticismo di una parte dell’elettorato che, pur avendo a cuore la questione climatica, si orienta verso partiti che propongono soluzioni più moderate.   


In ogni caso, al di là di qualche scossa di assestamento, gli equilibri politici non mutano e il panorama partitico è sostanzialmente stabile, a differenza di quanto succede in molti paesi europei con formazioni che passano dal nulla al 30 per cento di consensi in pochi anni.

 

Certo, il rafforzamento della destra in Parlamento dà ulteriore ossigeno alle politiche tendenti a favorire ricchi e multinazionali e a concedere loro privilegi (fiscali e non solo). O a indebolire lo stato sociale nel nome del principio della “responsabilità individuale” (ciascuno si arrangi come può).

 

Si pensi per esempio alla recente proposta della Consigliera di Stato zurighese dell’Udc Natalie Rickli di rendere l’assicurazione malattie facoltativa o alla tentazione (presente anche nei ranghi liberali) di ridurre il catalogo delle prestazioni coperte dall’assicurazione di base e dunque di una medicina a due velocità. Nella prossima legislatura sarà un po’ più facile far passare in Parlamento anche misure di smantellamento del diritto del lavoro (come un’ulteriore liberalizzazione del lavoro domenicale) e politiche sugli stranieri sempre più discriminatorie e restrittive, mentre sarà più difficile ottenere decisioni contro la discriminazione salariale delle donne, per una migliore conciliabilità tra lavoro e famiglia e per il recupero del potere d’acquisto dei cittadini.


Per la sinistra, nonostante la lieve crescita dell’1,1 (comunque la più importante degli ultimi 30 anni registrata dal Partito socialista) e per il movimento sindacale sarà inevitabile intensificare il lavoro di mobilitazione dei cittadini su questioni di vitale importanza come il potere d’acquisto, le pensioni, l’assicurazione malattia o i diritti degli inquilini, che saranno al centro di importanti votazioni popolari nei prossimi mesi.

Pubblicato il 

26.10.23
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